Luciano Gaudenzio - Lo scrigno delle nebbie alpine, l'incantata Foresta del Cansiglio

Ho pensato per molto tempo da dove potevo iniziare questo fantastico progetto che mi vede orgogliosamente impegnato per cercare di dare alla montagna italiana la visibilità che merita.
Molti pensano che fare il professionista della fotografia sia un continuo girovagare per il mondo, divertendosi a più non posso perchè viaggiare è affascinante, libera ed amplia le proprie vedute, emoziona e appaga.  Ma per quanto lungo possa essere questo "euforico" periodo, esiste un momento in cui si torna e, in ufficio,  si deve necessariamente lavorare alle proprie immagini, archiviarle, didascalizzarle, proporle ai clienti e a quelli potenziali, un lavoro incredibilmente lungo, faticoso, stressante....ed è proprio in questo difficile momento che sto prendendo questa decisione, da dove inizio? Discutendo di fotografia con amici appassionati o colleghi, molto spesso ci siamo detti come, dopo tanto tempo, anche mesi, passati a non fotografare, sia difficile ritornare a farlo. Fotografare richiede allenamento. La mente, gli occhi dopo lunghi periodi di astinenza, non sono più abituati a vedere, osservare, scovare i dettagli. Ecco perchè molti appassionati, che praticano la fotografia nel solo tempo libero, molto spesso fanno fatica a fare un salto di qualità, soprattutto quando si tratta di documentare in modo completo ed organico un determinato luogo, paesaggio o specie. Il singolo scatto, (quello che comunemente viene chiamato "da concorso"), magari salta fuori, realizzare un reportage completo è invece più complicato e difficile, specie dopo un lungo periodo di buio ufficio, da dove inizio?
Poi, nella nebbia di tante indecisioni, si accende un faro che lentamente la dissolve. Un luogo a cui sono emozionalmente legato e che da sempre mi aiuta a ritrovare me stesso. Un luogo vicino a dove abito e che è stata la mia vera "palestra" fotografica. Un altopiano carsico abbracciato da una foresta millenaria. Più in basso gli abeti bianchi, in alto i faggi. Una curiosità vegetazionale dovuta al fatto che l'aria fredda ristagna nella parte più bassa dell'altopiano, mentre in alto è più mite. Un altopiano dominato immancabilmente dalla nebbia, che permane tutta la notte per poi dissolversi solo con il calore del sole, quando questo è gia molto alto sull'orizzonte.
Inizio da qui, questa avventura, anche perchè voglio mettermi alla prova, voglio cercare di trasmettere quella che è la vera anima di questo luogo. Poche parole, che faticano a descrivere il Cansiglio.

La nebbia che, alle prime luci del mattino, ancora invade la parte alta della foresta dominata da faggi secolari
Sono convinto che il mio viaggio, il mio Altroversante, debba iniziare da qui. Dalla nebbia che cela, come uno scrigno, le meraviglie di questo altopiano.
Pianifico la giornata in modo puntiglioso. Parto presto da casa. Budoia, il paesino dove abito, è ai piedi dell'altopiano, una ventina di minuti di macchina e sono già sul posto. Il bosco è perfetto, le gemme sembrano esplodere da tanto sono gonfie di verde. Su tutto permea un sottile strato di nebbia che fa intuire, più che vedere.
Pochi scatti alla ricerca di forme grafiche, di colori sfumati, poi via, veloce verso il basso, laddove le nebbie sono ancora più consistenti.
Arrivo e come ci fosse un pilota automatico, imbocco una stradina laterale  e mi porto in una posizione leggermente sopraelevata rispetto all'altopiano. Fa freddo. Molto per la stagione. Siamo a maggio e c'è appena 1°. Piazzo il mio amico fidato, lui si che è sempre al mio fianco, parlo del cavalletto eh! e compongo l'immagine. E' un attimo, uno strappo nella coperta bianco-grigia, i colori della nebbia.
Ci saranno altre occasioni per riprendere la piana del Cansiglio, oggi però, ho un'altra meta, voglio cercare di fare conoscere l'anima di questo luogo e dove cercarla se non nel posto più misterioso di questo altopiano? Mi infilo di nuovo in macchina, riprendo la strada principale che taglia in modo lineare l'altopiano e dopo pochi chilometri, volto a destra seguendo le indicazioni per la Val Menera. Poco prima dell'omonimo agriturismo, in prossimità del parcheggio del caseificio, lascio la macchina e mi incammino verso la mia destinazione, la Val Scura. Lascio alla vostra immaginazione il perchè del suo nome...

In prossimità dell'ultima casera, adibita a stalla, sento dei rumori, dapprima lontani, poi sempre più incalzanti. Conosco l'ambiente e so che animali lo possono abitare. Ma non vedere, percepire solamente, fa temere, fa riemergere antiche paure umane. Improvvisamente, nella nebbia a pochi metri da me,  si materializzano come fantasmi, una cerva ed il suo piccolo. Corrono trasversalmente lungo il pascolo. Pochi scatti, cercando di inseguire il movimento degli animali. C'è poca luce, i tempi sono lenti e l'unica possibilità che ho, è quella di realizzare un panning.
Il risultato, come spesso succede ricorrendo a questa tecnica, non è perfetto, ma, come scoprirò successivamente davanti al pc, restituisce pienamente il momento che ho vissuto. Pochi passi e sento, questa volta molto più forti, dei rumori dinnanzi a me. Sulla mia sinistra c'è un recinto. Cauto, avanzo lentamente, convinto di vedere dei cavalli o forse delle pecore. Invece no. Dalla nebbia, appare un gruppo di cerve, impaurite anche loro dal fatto di sentire e non vedere. In questo caso, sono io a rappresentare il mistero.
Mi fermo, quasi per tranquillizzarle e mi accovaccio lentamente, facendo loro qualche scatto.


E' un momento intenso, un incrocio di sguardi che sembra durare un'infinità. Le cerve, ora tranquille, si allontanano, trotterellando verso il basso.
Le seguo camminando lentamente. Più mi abbasso verso la depressione della Val Menera, per poi addentrarmi nella Val Scura, più la nebbia si infittisce.
La grande piana, che si apre ora davanti ai miei occhi è verdissima.
Questa depressione, in autunno contesa dai più poderosi maschi di cervo dell'intero altopiano, è ora tranquilla. Un paesaggio bucolico, dove le protagoniste assolute sono ancora loro. Le cerve che avevo sorpreso pochi minuti prima si sono ora riunite ad altre femmine e piccoli e stanno placidamente pascolando. Pochi scatti e vado verso la mia destinazione finale.
Una palizzata di secolari abeti bianchi, si erge a proteggere l'ingresso della Val Scura. Voglio enfatizzarne colori e forme, e la riprendo, impostando un tempo lento e muovendo la macchina dolcemente, cercando di non avere esitazioni.

I secolari abeti bianchi della Val Scura
Finalmente entro nel bosco. Pochi passi e intravedo la mia meta, il soggetto dei miei prossimi scatti. Un giovane bosco di faggi cresciuto all'ombra di secolari abeti bianchi. Un paesaggio suggestivo, nella penombra della nebbia. Non vi nascondo che avevo già in testa, le immagini che avrei voluto ottenere.

I giovani faggi della Val Scura - Pian Cansiglio crescono all'ombra dei "giganti bianchi"
Nel folto del bosco, vista anche l'ora, la nebbia si è lentamente dissolta. Guardo verso l'alto e mi accorgo che non è scomparsa. E' solo più alta. A quasi 50 metri di altezza, le "teste" dei giganti bianchi ancora la respirano. Sono affascinato, penso che raccontare questa scena valga la giornata. Mi distendo, su un tappeto umido di muschio, quà e là vivacizzato dalla delicata acetosella.
Punto il 14 mm verso il cielo. In primo piano, le fronde di un giovane faggio, oltre, la volta formata dagli abeti bianchi che svettano verso il cielo ancora denso di nebbie.
Guardo il risultato sul display e sono contento. Spero anche che riesca a trasmettere tutto il fascino nascosto di questo luogo.

Un giovane faggio si slancia verso la volta dei giganti bianchi della Val Scura. Sopra di loro un cielo ancora denso di nebbie
Sulla via del ritorno, uscendo dal folto della Val Scura, noto che le cerve ancora pascolano tranquille con i loro piccoli.





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