Maurizio Biancarelli - I Monti Sibillini, tra natura e mistero - Umbria e Marche - Parte prima



25 maggio 2014

I Sibillini rappresentano per me le radici profonde, la terra con la quale ho i legami più forti. 
Sono nato in un minuscolo villaggio a pochi chilometri da Norcia e ho respirato l’aria di queste montagne fin dalla nascita, anche se le ho conosciute solo molti anni più tardi.
Il mio primo servizio fotografico, apparso sulla rivista Oasis nel lontano 1989, ha avuto come soggetto proprio loro, quando erano un luogo molto meno conosciuto e frequentato e il parco nazionale non era stato ancora istituito. 
Ricordo ancora, a distanza di tanto tempo, l’emozione dell’incontro a Milano con l’allora direttore della rivista Paolo Fioratti e l’eccitazione e la gioia di ricevere la sua approvazione per il servizio. I suoi complimenti e incitamenti sono stati uno sprone importante nel proseguire il mio lavoro di fotografo.
Col passare del tempo le cose sono cambiate e ora il Piano Grande e il monte Vettore sono diventati vere e proprie icone del paesaggio italiano. Le fioriture estive attraggono folle di turisti e fotografi, ma anche in altri periodi dell’anno il fascino misterioso dei “Monti Azzurri”, non manca di richiamare a sé una nutrita schiera di affezionati.





Questi pensieri attraversano la mia mente mentre mi dirigo verso i Pantani, una zona palustre situata appena al di là dei confini del parco nazionale, a 1500 metri di quota. 
E’ ancora buio mentre mi avvicino, voglio arrivare prima dell’alba, per sfruttare le prime luci e magari la nebbia, che in rare giornate senza vento invade la conca. Una missione in un luogo affascinante ma tanto fotografato come i monti Sibillini rappresenta una sfida, ma non ho avuto dubbi quando si è trattato di scegliere. D’altra parte L’Altroversante è di per sé una bella sfida e queste montagne sono nel mio cuore, fanno parte di me. Non potevo rinunciare.
Camminare in solitudine stimola pensieri e riflessioni, il tempo passa in fretta e quasi non mi accorgo di essere arrivato. Dall’alto indovino, attraverso il chiarore azzurrino del crepuscolo, il familiare paesaggio dei Pantani. Le doline colme d’acqua sono quasi cancellate da uno strato di nebbia, un velo impalpabile che si sposta lentamente sopra gli specchi d’acqua e li fa apparire solo a tratti,  tondeggianti e lucenti, sullo sfondo ancora scuro della conca. 
Provo subito qualche scatto inserendo lo spicchio di luna alto nel cielo ad oriente e trattenendo a stento la voglia di scendere e iniziare subito la ricerca della posizione giusta per qualche bella inquadratura dal basso, pronto per il momento tanto atteso dell’alba. 
Quando arriva, l'alba mi sorprende con una luce rosata che la nebbia spande lentamente sul paesaggio, prima fioca e localizzata poi più decisa e diffusa. 





Silenzio attorno, atmosfera umida e sospesa, contorni indefiniti. Gli scarponi sguazzano nel terreno fradicio, l’aria raggiunge le narici portando odore di fango. Ma ho occhi soltanto per la luce, che migliora sempre di più col trascorrere dei minuti, mentre la mia eccitazione cresce. 
Mi sposto veloce e cerco i punti giusti, so che tutto non durerà a lungo. Faccio attenzione a non commettere errori, può succedere, fretta e precisione non vanno d’accordo. Trovo due o tre soggetti in primo piano che mi soddisfano: un gruppetto di margherite che sbucano dalle acque basse, come se l’acqua stessa le avesse generate e steli di graminacee in controluce, che creano un bell’effetto grafico sulla superficie liquida color pastello.



Alla fine l’errore lo faccio lo stesso, mi accorgo di aver lasciato impostati gli iso più alti usati all’inizio, avrei potuto scattare a 100. Ma va bene  lo stesso, non è un grave danno.
Il tempo vola via e piano piano la luce cambia, la nebbia comincia a diradarsi e si apre come un drappo leggero su un  paesaggio dall’aspetto ora più ordinario.
Purtroppo adesso appare nitido anche quello che non è positivo. Anni or sono l’area dei Pantani è stata circondata da transenne di legno di nessuna utilità che hanno snaturato un luogo fino ad allora integro. Provo rabbia e amarezza per un danno ad uno degli ambienti umidi più belli di tutta la zona.
Scarponi e calzoni sono completamente fradici, ma l’esperienza è stata entusiasmante, (transenne a parte), e, nonostante il tepore del nuovo giorno induca  all’indolenza, mi accingo a tornare piano piano sui miei passi. 
Non posso evitare di ripensare alle immagini appena scattate e inizio, quasi automaticamente, a fare una classifica mentale di quelle che, sono convinto, risulteranno migliori.

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