Maurizio Biancarelli - I Monti Sibillini, tra natura e mistero, Umbria e Marche - Parte seconda


28 maggio 2014

Stamattina l’attesa di una buona luce sul Piano Grande è stata vana. Grossi nuvoloni grigi e compatti non hanno concesso spazi ai raggi del sole. Aspetto di vedere quello che succederà col trascorrere del tempo, chissà, magari uno squarcio nella scura coltre del cielo potrebbe risolvere una mattinata plumbea.  
Se esiste un luogo capace di indurre pensieri profondi, impossibili in altri luoghi, questo è il Piano Grande.
La grande morbida distesa verde incisa dal Fosso dei Mergani è un luogo perfetto per cercare un rapporto con la natura fatto di intimità, sollievo, appagamento. Basta osservarla da lontano e i pensieri diventano più fluidi, l’umore si innalza, la vista può spaziare sulla distesa di un paesaggio armonioso e libero, appena sfiorato dai segni dell’uomo.
Nel suo bel libro “Luoghi selvaggi”, Robert Macfarlane descrive una serie di viaggi fatti in prima persona alla ricerca della natura selvaggia e si sofferma a descrivere in maniera mirabile le motivazioni profonde del viaggio e il senso stesso di questa ricerca.
Il contatto con la natura selvaggia è un’esigenza profonda, sentita dall’uomo fin da tempi remoti. Basti pensare a monaci ed eremiti, che sceglievano di vivere in uno stretto rapporto con la natura primigenia per indagare il loro intimo alla ricerca di un contatto col trascendente, o agli esploratori spinti verso terre lontane da spirito d’avventura e dalla voglia di conoscere l’ignoto, di entrare in comunione con una natura ancora per niente soggiogata dall’uomo. Tutte queste persone hanno cercato e trovato corrispondenza tra le loro esigenze interiori e gli elementi fisici del paesaggio.




Anche se le vere terre selvagge  sul pianeta si sono ridotte ai nostri giorni, la selvaticità, lo spirito selvaggio e indomito di una  natura che continua caparbiamente a seguire i suoi ritmi e i suoi tempi incurante della ingombrante presenza dell’ Homo sapiens, è possibile ritrovarlo anche a poca distanza da casa. Basta saper scegliere tempi e luoghi. 
I Monti Sibillini e il Piano Grande ne sono un esempio. 



Nei fine settimana estivi le strade del parco nazionale sono prese letteralmente d’assalto, automobili parcheggiate in lunghe file, gente dovunque, rumore. Spettacoli consueti del turismo di massa. 
Basta però camminare per qualche chilometro, o scegliere opportunamente date e orari e il silenzio e lo spirito di queste montagne, visitate in tempi lontani da pellegrini e negromanti, si manifestano e avvolgono chi sa ascoltare. Finiscono per coinvolgere ed ammaliare.
Il Piano Grande rappresenta per Macfarlane un esempio di “santuario”: una depressione, cioè, circondata in tutto il suo perimetro da rilievi. I santuari hanno il fascino dei mondi perduti o dei giardini segreti. Al viaggiatore che vi accede dopo aver superato un passo suscitano il piacere sottile del proibito e dell’intrusione. 
Tante volte, aspettando in cima al valico che conduce verso il grande altipiano, ho potuto notare le reazioni di molte persone che, per la prima volta, se lo trovano di fronte. Sono invariabilmente le stesse: sorpresa e stupore. Si parcheggia la macchina e si scende in tutta fretta per godere della vista di un paesaggio al quale non si è preparati, una visione che supera le aspettative. Si scambiano sorrisi e commenti entusiasti, si scattano le prime foto. 
Per me non è affatto la prima volta, ma l’emozione tende a rinnovarsi, specie quando accade qualcosa di inaspettato o di interessante. 
Come in questo momento, con i raggi del sole che stanno vincendo la loro battaglia con le nuvole, si infiltrano attraverso grandi varchi e illuminano a macchie l’altipiano, vivificato da un’esplosione di verde nel punto in cui la colonna di luce prende contatto coi prati. Finalmente posso usare la macchina fotografica piazzata da tempo sul cavalletto, e comincio a scattare, godendomi segretamente il privilegio di essere solo di fronte a una straordinaria manifestazione della natura.

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