Luciano Gaudenzio - L'immagine raccontata: la lotta tra versanti, dalla missione Foresta di Tarvisio-Alpi Giulie


Da sempre mi considero un sognatore.
Sogno a occhi aperti anche durante il giorno.
Tante volte queste visioni riguardano i soggetti che mi piacerebbe tanto fotografare, luci emozionanti, situazioni inusuali di comportamento animale, condizioni di tempo particolari.
Sogni che difficilmente e raramente realizzo concretamente.
L'immagine che vedete invece è uno di quei sogni che si avvera.
Una situazione che ho vissuto tante volte in montagna, non rara dunque, ma che per tanti motivi non mi era mai riuscito di riprendere.
Mi trovo sul versante Sloveno del Monte Mangart e sto camminando verso la cima per cercare di riprendere i laghi di Fusine dall'alto, come due piccoli gioelli incastonati nei colori autunnali della Foresta di Tarvisio.
Salendo e volgendo lo sguardo verso la vallata sottostante, mi accorgo che la nebbia presente per quasi tutta la giornata in Italia, prima con soli alcuni sbuffi, poi sempre più prepotentemente scavalca il versante e invade velocemente i boschi sloveni. Sullo sfondo si intravedono le cime più alte delle Giulie.
Rimango affascinato. Sarebbe bellissimo filmarlo, ma sono un fotografo e devo pensare velocemente come posso rendere vivo questo fenomeno in un'immagine.
Sono abbastanza lontano dalla scena e se non faccio veloce la nebbia presto mi raggiungerà.
Monto subito sul mediotele un filtro ND (completamente grigio) di gradazione abbastanza bassa, + 0.9 per allungare il tempo di posa, studio la composizione e scatto.
Tutto avviene in pochi secondi. Guardo il risultato e sono abbastanza soddisfatto. Adesso mi sfogo.......faccio solo tempo a pensarlo e la nebbia ha già cambiato tutta la scena.
Ne sento l'odore, si avvicina e pian piano annulla le distanze e i colori.
Fa freddo e i laghetti incastonati rimaranno anche quelli un altro sogno che.....spero di raccontarvi il più presto possibile.

Bruno D'amicis - Il consiglio del mese - dalla missione Sirente Velino






Nella fotografia di paesaggio si utilizzano normalmente obiettivi grandangolari o focali intermedie, fino al 200 mm. Ciononostante, per ottenere delle fotografie di paesaggio particolari o per completare un servizio su una località, utilizzo a volte anche dei teleobiettivi molto spinti (400-600mm). Grazie alla compressione dei piani e al ridotto angolo di campo che li caratterizza, queste lenti mi permettono di isolare elementi forti del paesaggio e concentrarmi su dettagli e pattern, anche di soggetti grandi come un'intera montagna!

Maurizio Biancarelli - L'immagine raccontata - Tormenta nella faggeta



Il Bosco delle Cese, nel parco regionale del Monte Cucco in Umbria è un residuo di faggeta con esemplari vetusti. Come il nome fa intendere, questi vecchi patriarchi venivano un tempo capitozzati, tagliati cioè a un paio di metri di altezza per ottenere legname e foglie da dare in pasto agli animali. Gli alberi così trattati non muoiono, ma emettono un nuovo virgulto da cui si sviluppa, verso l’alto, un tronco giovane.
Attorno al nucleo principale del Bosco, si trovano gruppetti di giovani alberi dai tronchi contorti perché deformati dai forti venti dominanti.
Mentre mi avvicinavo durante una tormenta sono proprio questi giovani faggi che hanno attratto la mia attenzione. Il vento furioso si accaniva contro i tronchi depositando un rivolo di neve nel lato sopravento, perfetto per un bell’effetto grafico: forme nette e sinuose in bianco e nero. Anche la ricrescita di giovani piante alla base dei tronchi contribuiva in maniera non secondaria all’effetto di gradevole chiaroscuro generale.
La nebbia andava e veniva annullando lo sfondo e mettendo in risalto i soggetti principali. Le condizioni ambientali con raffiche di vento da ogni dove non erano certo ottimali, ma l’immagine c’era e allora, piantato il cavalletto, ho iniziato la serie di scatti facendo attenzione ai fiocchi candidi che finivano inevitabilmente sulla lente dell’obiettivo.
Alla fine ho deciso di trasformare limmagine in bianco e nero, sicuramente la scelta migliore per evidenziare il carattere grafico della fotografia

Bruno D'Amicis - Una mattina di incanto al cospetto del Sirente


Parco Naturale Regionale Sirente Velino, Abruzzo - 2 Febbraio 2015
Per chi attraversa in auto l'Altipiano delle Rocche, vasta piana montana tanto bella e unica quanto bistrattata da speculazioni e lottizzazioni, partendo da Ovindoli e dopo aver superato il piccolo borgo di Rovere, lo sguardo spazia dalle cime dei Monti Ocre e Cagno a sinistra, per sollevarsi sull'imponente catena del Gran Sasso e venire infine attratto da una misteriosa parete rocciosa, lontana e selvaggia, ruvida ed indimenticabile. Viene quasi naturale svoltare a destra per andare a curiosare di cosa si tratti. Da lì, la strada attraversa una bella faggeta ed è lunga e tortuosa. Dopo qualche chilometro, quasi all'improvviso la vista si apre su una piana e soprattutto sulla meravigliosa parete del Monte Sirente, forse la più “dolomitica” delle cime appenniniche. Strana montagna, questa: morbida ed ondulata a meridione, precipita invece per diverse centinaia metri a nord, creando una parete lunghissima che sovrasta per chilometri lo Shangri-La che è la remota Valle Subequana.

Quella notte aveva nevicato tanto, ma poi il cielo si era aperto e la temperatura era scesa parecchio sotto lo zero. Sapete: sono zone proprio freddissime, queste. Le ruote della macchina scricchiolavano sulla neve gelata e io prundentemente guidavo pianissimo. Ciò però anche per avere la possibilità di ammirare gli alberi carichi di neve e la prima luce giocare con mille riflessi sul manto bianco purissimo e tra le trine e merletti delle costruzioni glaciali. C'ero solo io. Che lusso uscire sul campo di lunedì mattina presto! Per un attimo il pensiero mi era andato sadicamente alle persone nel traffico in quel momento sul Raccordo Anulare di Roma o in cento altre città italiane... Amo questa vita!


Dai piedi della montagna, sino alla cima, tutto era gonfio di neve, così perfetta da sembrare panna montata. Uno spicchio di luna ancora faceva capolino in cielo. Ho accostato e poi spento l'auto e, nonostante il tepore dell'abitacolo, mi sono fatto forza e sono sceso. Il silenzio si era ripresto tutto. 
I pinnacoli di roccia della parte più occidentale della parete rocciosa erano tutti incrostati di ghiaccio e splendevano come denti bianchissimi. Le rocce e le balze delle gigantesche meringhe. Poco sotto faggi secolari sembravano batuffoli di cotone. Tutto era fermo, ineluttabilmente congelato nell'aria mordace del mattino. Solo una volta ho sentito il richiamo di una cincia coraggiosa. A pochi metri da me la coltre bianca era punteggiata di segni: tra i cespugli era passato un timido capriolo; le impronte telegrafiche di una volpe indaffarata si sviluppavano in linee e circonvoluzioni attorno a quelle da “aratro” di un grosso cinghiale. Un po' più in là riuscivo poi a scorgere la pista tesa e consapevole di due lupi che avevano attraversato la radura. Bello come le storie della notte fossero lì, pronte ad essere raccontate a chi prestasse attenzione! Ma questa volta non avevo tempo.



Senza pensarci su troppo ho montato il 70-200 sulla reflex ed entrambi sul treppiedi. Avevo in mente diverse inquadrature strette delle rocce e delle cenge innevate. Dopo il sorgere del sole si era sollevato il vento. L'aria in quota faceva sollevare la neve fresca come zucchero su un pandoro. Stralci di nuvole giocavano in cresta creando ogni volta uno sfondo diverso. La luce rimbalzava gialla sui crinali, intensificando il blu delle aree in ombra e delineando i diversi piani. C'era da muoversi in fretta, prima che finisse tutto. Dettagli o visioni più ampie; panoramiche e verticali: mi sono lasciato prendere dal gioco intellettuale della composizione. Ne dovevo approfittare: più tardi, infatti, avrei calzato scarponi invernali e ciaspole, per avvicinarmi piano piano a quel regno di ghiaccio e solitudine...