Maurizio Biancarelli-L'immagine raccontata: Nel silenzio del grande altipiano, Campo Imperatore, Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga, Abruzzo

Il Corno Grande alla luce dell'alba, Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga

Il grande altipiano carsico di Campo Imperatore nel Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga è uno dei luoghi più affascinanti e solitari dell’Appennino centrale. Lungo 27 chilometri, è situato ad un’altitudine media di 1800 metri. 
L’ aspetto brullo e austero e la lunga distesa di doline che le animano, attraversandole come onde in movimento, donano a queste terre alte un carattere speciale in ogni stagione. È però in inverno, quando le strade di accesso alla montagna sono chiuse e la neve e il ghiaccio diventano protagonisti assoluti della scena, che è più facile entrare in contatto e stabilire una forte empatia con uno degli ambienti  più evocativi della catena appenninica. 
La lunga sequenza di ondulazioni del terreno viene bruscamente interrotta in lontananza dai quasi tremila metri della cima più alpina di tutto l’Appennino, il Corno Grande. Il contrasto è forte e la verticalità di quella massa rocciosa domina il paesaggio e monopolizza lo sguardo per chilometri.
Nel corso degli anni ho visitato tante volte Campo Imperatore, in stagioni diverse, alla ricerca di quelle atmosfere particolari che la variabilità climatica quassù regala più spesso che altrove, ma i risultati fotografici ottenuti mi hanno sempre confermato che questo luogo, nonostante l’indubbia spettacolarità, non è tra i più facili da riprendere. Ottenere risultati che non siano quelli classici non è semplice e sono veramente poche le foto da me scattate che ritengo soddisfacenti. 
Nonostante questo, o forse proprio per questo, continuo a frequentare questa area montuosa di cui subisco il fascino sottile. In fin dei conti quello che è più importante è vivere l’esperienza, perdersi in quella vastità, provare la sensazione vivificante del freddo e del vento sulla pelle, ascoltare il silenzio che domina sovrano, camminare lentamente sulle creste ondulate delle doline per scoprire nuovi punti di vista. E osservare; chissà che da qualche parte non sbuchino anche loro, i lupi, come è successo anni fa, in pieno giorno. 
E allora eccomi qua, in questa rigida mattinata di fine marzo: prima dell’alba e nel crepuscolo rischiarato da una luna quasi piena, sono tornato a camminare sul “mio” altipiano. Ho trovato il punto di ripresa  giusto e ho aspettato il nascere del nuovo giorno, rabbrividendo di freddo durante l’attesa.
La luce è arrivata, rosa e puntuale ad illuminare quelle rocce note, e, anche se la foto nel monitor non è proprio quella che avevo in mente, non importa. Il primo tiepido sole già scalda mentre la neve, dura e compatta, scricchiola sotto gli scarponi. 
Torno sui miei passi  leggero e soddisfatto.



Luciano Gaudenzio - La prima neve, Parco Naturale Regionale della Lessinia, Verona


Sono costretto a casa per colpa di un grave infortunio. Stop di due mesi, i due successivi di riabilitazione e se non ci sono intoppi potrò finalmente tornare a lavorare sul campo. Il lavoro da smaltire in ufficio è davvero tanto; migliaia di immagini fatte per l'Altro Versante in estate, Catinaccio, Marmolada, Parco Nazionale dello Stelvio.
Un aspetto rende più sopportabile l'attesa: è un inverno anomalo, privo di precipitazioni importanti e quando si manifestano le temperature sono quasi sempre alte, con lo zero termico assestato ad altitudini impossibili.
L'intero arco alpino è un susseguirsi di pascoli color ocra, bruciati dal freddo e dalla mancanza di neve che durante questa stagione ha anche il prezioso compito di proteggerli.

Il conto alla rovescia per tornare alla "normalità" dura un'eternità, ma quei giorni mi concedono il tempo di ragionare, di pensare, in una sola parola il tempo, quello che  manca quasi sempre nella quotidianità ; sono giorni di riflessione e di riprogettazione su me stesso e sul mio lavoro, sulle persone che mi stanno vicino, sui pochi veri amici.
Il mio ritorno sul campo coincide con le prime intense nevicate che tardivamente si manifestano sulle Alpi. A febbraio ho programmato quattro giorni sul campo per la mia prima missione post-infortunio. La meta è il Parco Regionale delle Lessinia, nel Veneto. 
Gianluca, un caro amico veronese, resosi disponibile da tempo, sarà la mia preziosa guida.
La Lessinia è un un vasto altopiano che dominala romantica città di Verona e la pianura veneta, il cui territorio sconfina anche nel vicino Trentino.
Negli ultimi anni questa area naturale è balzata agli onori della cronaca per la storia d'amore tra un lupo maschio proveniente dalla Slovenia, chiamato Slavc  e Giulietta, femmina di lupo italico; secondo gli ultimi rilevamenti a cura della forestale del Parco, attualmente, da quell'incontro avvenuto ormai più di cinque anni fa, la popolazione sarebbe davvero vitale e addirittura frazionata in due distinti branchi.
Anche se non conosco assolutamente il territorio preparo con meticolosità questa nuova uscita: compro la cartina sul Parco, studio le zone di interesse e guardo l'iconografia presente su internet (Vedi l'immagine raccontata sulla Lessinia) e carico di aspettative mi metto in viaggio per Verona, distante da Bosco Chiesanuova, il capoluogo della Lessinia,  appena un' ora di auto.
Assieme a Gianluca facciamo un primo sopralluogo partendo dal versante orientale del Parco raggiungibile in auto fino a Passo Fittanze e poi verso il cuore dell'area protetta, sopra Bosco Chiesanuova visitando il rifugio Bocca di Selva e successivamente Conca Parpari e la foresta di Giazza.
La giornata non è delle migliori: nelle valli sottostanti il tempo è molto umido, mentre in quota aleggia una densa nebbia e tira un vento fortissimo.  Arrivati al Rifugio Bocca di Selva inizia debolmente a nevicare. Il rifugio è notissimo tra i fotografi naturalisti perchè negli ultimi anni, durante gli inverni più freddi e nevosi, come molte volte succede in Natura in modo inspiegabile, assieme ai numerosi fringuelli alpini svernano alcuni esemplari di Zigolo delle nevi, un minuto passeriforme che si riproduce tra la Scandinavia e la Groenlandia e che in Italia si può osservare solo qui. E' martedì e non ci sono tracce degli appassionati birdwatchers e fotografi che a frotte si accalcano per osservare con emozione e ritrarre questi rari uccelli. Sceso dall'auto le folate di vento che spazzano l'altopiano sono talmente forti che, complice la mia forzata inattività, quasi faccio fatica a camminare.


Mi guardo attorno ma vedo solo una coppia di fringuelli alpini che volano faticosamente contro vento.
A pranzo, davanti a dei gustosissimi gnocchi locali (fatti semplicemente con latte e farina e conditi con la ricotta affumicata), il gestore ci spiega che l'assenza di freddo e soprattutto della neve ha tenuto lontani i volatili e rispetto gli anni passati i fringuelli sono pochi e addirittura un solo zigolo delle nevi e quindi anche se mi fermerò per altri tre giorni, l'osservazione dell'unico esemplare diventa complicata.
Salendo verso San Giorgio e poi verso Conca Parpari la nevicata diventa intensa e, complice l'ora molto tarda, la visibilità è davvero scarsa: ultimi scatti sulla Foresta di Giazza sotto la neve e rientriamo.
Le previsioni parlano chiaro: per i successivi due giorni nevicherà in modo piuttosto intenso e poi il venerdì dovrebbe prevalere l'alta pressione con una giornata tutta all'insegna del cielo terso e del bel tempo.

Neve e ancora neve e lo sguardo che quando non guarda in macchina, cerca incessantemente e con poche consapevoli speranze la vita animale, so che è praticamente impossibile vederli ma nella testa l'idea ronza incessantemente e non posso farne a meno.

Tutti i dubbi che avevo alla vigilia in quei due giorni si dissolvono: dopo tanto tempo passato a casa, avevo paura di non riuscire a "vedere", le sfumature, le composizioni, di non riuscire ad interpretare la luce, ma sul campo tutte queste perplessità hanno lasciato spazio alla naturalezza dei movimenti e alla gioia di fare un lavoro così bello e appagante.
In questi due giorni tante riprese di particolari, sulla neve, altro non si riesce a fare, la nebbia avvolge l'altopiano e non svela il suo paesaggio.
Quando la nevicata e la nebbia si fanno così intense da non poter far altro, torniamo al Rifugio Bocca di Selva e speriamo di poter osservare l'unico zigolo svernante. Nell'attesa qualche suggestivo scatto ad uno stormo di fringuelli.


Sostano spesso sul tetto del rifugio e saltuariamente fanno qualche comparsata in volo sui cumuli di neve sottostanti dove possono trovare qualche briciola lasciata dai diversi visitatori.


Nel primo pomeriggio, così come le previsioni avevano azzardato, qualche squarcio nel cielo e finalmente riesco ad intravedere le linee di questo paesaggio, non ci speravo più!

Le famose vallette dell'altopiano cominciano a prendere forma, così come in lontananza riesco finalmente ad intravedere i pendii ammantati di neve del Monte Tomba e gli inconfondibili profili delle diverse casere e malghe che tanto caratterizzano il paesaggio della Lessinia. Indossiamo velocemente le ciaspe e senza esitazione ci incamminiamo lungo il sentiero che porta verso il Rifugio Prima Neve.
La variabilità del tempo concede suggestivi scorci su tutto l'altopiano: la nebbia danza tra le valli e a momenti ricopre tutto per poi alzarsi e formare delle splendide nuvole nere.
Il cavalletto si apre e chiude ogni due metri e ormai capiamo che pur essendo molto vicino non arriveremo mai al rifugio: troppe sono le situazioni interessanti da riprendere, troppa la voglia di fare qualche immagine degna del nostro progetto.




Quando ormai mi ero ripromesso di tornare per cercare di riuscire a vederlo, eccolo lì davanti alla macchina, nel parcheggio del rifugio.
Sono un pò agitato e so che non farò una grande immagine, ma mi piacerebbe ritrarlo soprattutto per me stesso, un segno che le cose dopo un periodo sfortunato possono tornare a girare nel verso giusto.
Rimane fermo immobile giusto il tempo di aprire lo zaino fotografico e cambiare l'obiettivo, lo ambiento, come spesso mi piace fare con gli animali e... click: porterò sempre con me l'emozione di quel momento.
L'ultimo giorno è spettacolare dal punto di vista atmosferico. Dopo le intense nevicate dei giorni precedenti l'alta pressione ha spazzato nebbie e umidità e finalmente abbiamo la possibilità di vedere la catena che imponente domina questo suggestivo altopiano, il gruppo del Carega, noto anche come "Piccole Dolomiti".
Ci svegliamo prestissimo e già verso le 5.30 i nostri passi fanno scricchiolare  la neve, resa gelata dalle bassissime temperature della notte.
Presi dall'emozione, sbagliamo il sentiero che porta al Rifugio Prima Neve per ritrovarci dopo circa una mezz'ora buona di cammino in mezzo al niente e in ritardo rispetto al punto di ripresa che avevamo studiato per l'alba.

Maledico la mia imperizia e frettolosamente impongo a Gianluca un passo da militare per tornare al punto di partenza e prendere la giusta direzione. Il sole ci sorprende lungo la faticosa salita ma siamo già in una posizione molto panoramica e ne sono soddisfatto: davanti a noi una moltitudine di vallate e pendii resi tridimensionali dalla prima luce e finalmente, dominante, il profilo del gruppo delle Piccole Dolomiti. Quando si fotografa il tempo passa veloce e una volta arrivati al rifugio Prima Neve ci concediamo un attimo di relax. Dal rifugio la vista è a dir poco fantastica: verso il Trentino, a Nord, l'imponente muraglia dolomitica del Brenta, a est il Gruppo del Carega, a sud gli inconfondibili profili dei Colli Euganei mentre a ovest lo spettacolo del mare dolce, il Lago di Garda.


Tutt'attorno al rifugio una distesa infinita di neve: un comprensorio sciistico davvero impressionante, con piste da fondo spettacolari e davvero ben tracciate, tanto che come appassionato di questa disciplina, mi riprometto di tornare al più presto per godermi questo spettacolo, anche dal punto di vista sportivo.
Aspettiamo un tramonto che non verrà, ma scendendo, un raggio di luce si fa strada tra le nuvole nere che ricoprono quasi interamente il cielo. 
Ancora mi sorprendo dell'imprevedibilità delle condizioni meteo e aperto per l'ultima volta il cavalletto, con stupore da bambino riprendo le acque scintillanti e dorate del lago più vasto d'Italia.


Finisco questo lungo racconto ringraziando di cuore Gianluca Benini e la sua famiglia, per la disponibilità e l'amicizia dimostrata: a casa loro, neanche per un istante, mi sono sentito un ospite.






Maurizio Biancarelli-L'immagine raccontata: uno stambecco tra le rocce, Parco regionale delle Alpi Marittime, Piemonte

Uno stambecco si muove tra le rocce del Parco regionale delle Alpi Marittime
Dai miei appunti sulla missione nel Parco regionale delle Alpi Marittime:
“Uno stambecco cammina veloce tra le rocce del passo delle Fenestrelle: è una gradita sorpresa e ho appena il tempo di uno scatto al volo, mentre ancora ansimo per la fatica  della salita. Grossi nuvoloni neri si avvicinano dal versante opposto e non promettono niente di buono, ma creano quella strana atmosfera carica di attesa che ogni volta mi preoccupa e, allo stesso tempo, mi intriga, come se qualcosa di speciale aleggiasse nell’aria immobile e stesse sul punto di manifestarsi.”
Era la mia prima salita nel cuore di questo parco regionale che affascina per l’imponenza di vette dalla bellezza austera e che sorprende per la inaspettata ricchezza faunistica. 
Ricordo camosci e stambecchi che sbucavano all’improvviso dalle rocce, brigate chiassose di coturnici che si gettavano a capofitto nel vuoto da alte rupi, sibilando a poca distanza dalle nostre teste, la mia e quella di Augusto, la guida, tracciando line rette nell’aria, ad ali semichiuse,  sparate come proiettili. 
Nel crepuscolo di un giorno di pioggia e nebbia, decine di salamandre pezzate avevano invaso la strada ed erano così fitte da costringerci a procedere a passo d’uomo in un continuo slalom, attenti a non schiacciarle sotto le ruote. E poi l’ermellino, un folletto che saltellava tra le rocce vicino al rifugio Questa, marmotte dovunque, gipeto in volo e l’elenco potrebbe continuare, nonostante i pochi giorni in cui sono restato lì.
Una straordinaria varietà di forme di vita che arricchisce, qui come altrove, la biodiversità del nostro paese, impreziosisce gli ambienti naturali e aumenta il piacere di visitarli e di percorrerne i sentieri.
Nel corso degli ultimi decenni la situazione ambientale in Italia ha visto un miglioramento generale per l’istituzione di molte riserve e parchi. L’abbandono di aree marginali da parte dell’uomo e il conseguente ritorno del bosco e degli ungulati, insieme alla protezione accordata ai grandi predatori come l’orso e il lupo, hanno creato le condizioni giuste per il recupero di queste specie, il cui ruolo nel mantenimento dell’equilibrio naturale è riconosciuto dalla scienza.
Una ricchezza che pone il nostro paese ai primi posti in Europa e stimola un tipo di turismo, quello ambientale, in continuo aumento. Un patrimonio di inestimabile valore che tutti dobbiamo sentire nostro, apprezzare e difendere da ogni possibile minaccia, soprattutto in un periodo molto critico come l’attuale, per garantirci un futuro di pacifica convivenza con tutti gli esseri viventi.