Bruno D'Amicis - La Grava di Vesalo e le gole del fiume Calore, Parco Nazionale del Cilento – Vallo di Diano, Campania.


















«Chi non risica non rosica», afferma il noto proverbio. Fotografando la natura, quando si tratta di ricercare un soggetto elusivo o un punto di vista inusuale, si sa che un po' di rischio ci vuole sempre. Fa parte del mestiere e, diciamocelo, anche un po' del fascino di questa attività.
Ma il senso costante di pericolo che ho provato zompettando sulle pietre umide e scivolosissime delle forre o sulle balze di roccia del Parco Nazionale del Cilento – Vallo di Diano (PNCVD per brevità) in compagnia del mitico Maurizio Biancarelli era di un altro livello e la dice lunga sulla missione che abbiamo condotto di recente insieme. Una missione o, meglio, una piccola avventura, tutta fatta di superlativi.



Innanzitutto il PNCVD è un'area protetta grandissima (la seconda per estensione in Italia), di fronte alla quale è emersa subito la necessità di operare una dolorosa selezione dei siti da visitare per l'Altro Versante. “Spaccando” il Parco in tre parti, abbiamo scelto sei siti da fotografare, numero all'apparenza realistico in base ai giorni di viaggio a disposizione. Abbiamo iniziato dal suo cuore e in particolare dai dintorni di Laurino e Felitto, dove ci siamo dedicati alla splendida Valle Soprana, con le sue foreste e il misterioso inghiottitoio della Grava di Vesalo, per poi passare alle gole del fiume Calore.
Percorrendo una stradina che sale da Laurino siamo arrivati all'alba nel punto dove sapevamo fosse la Grava, ma senza le indicazioni di alcune persone del luogo, non l'avremmo mai trovata. Sembrava un bosco come altri (splendidi in quest'inizio di primavera!), lungo un torrente come altri (tutti incantevoli!), eppure eravamo ignari della sorpresa che ci attendeva.
Abbiamo localizzato la Grava di Vesalo dal rumore dell'acqua. Sbalorditi abbiamo ammirato prima dall'alto e poi da vicino questa grotta che scende verticalmente nel cuore della montagna per oltre cento metri in cui, con due (quelle visibili!) cascate, si gettano le acque del torrente: sembrava la porta di accesso a un mondo ipogeo, freddo e muscoso, attraverso cui si entra senza poter fare ritorno.
Una cosa era ammirare la Grava, un'altra fotografarla. Un piccolo balcone di roccia offriva l'unico punto di vista interessante dove tentare di rendere il senso del luogo. L'acqua precipitava in una piccola marmitta prima di sparire nel buco. C'era però poco più di un metro per fare manovra e le rocce erano ricoperte di materiale organico bagnato e scivoloso come sapone. Il secondo superlativo che mi veniva in mente per definire questa missione era "pericolosissima".



Il primo turno è stato di Maurizio, che non sembrava avere problemi nel lavorare sul margine dell'orrido e che era tutto contento perché aveva appena individuato una bellissima salamandra pezzata sulle sponde del torrente. 
Quando è toccato a me, ho tolto gli scarponi, poiché nonostante il gelo preferivo mantenere un contatto diretto con la roccia, e mi sono mosso con lentezza da gasteropodo. Avanzavo centimetro dopo centimetro fino ad arrivare a vedere il fondo del primo salto. Ho montato la macchina sul treppiedi, assicurandone la cinghia. Tutto era instabile e potevo cadere da un momento all'altro. La prospettiva di un salto di cento metri nell'acqua gelida e di un difficilissimo recupero da speleologi rafforzava la mia autodisciplina. Non c'era margine d'errore. Dopo una ventina di minuti e la consapevolezza che forse non valesse la pena di rischiare ulteriormente, abbiamo deciso di ritornare sui nostri passi.


Il Cilento è terra di notevole carsismo, ma anche di acque superficiali. Da qui nascono fiumi selvaggi come il Bussento, il Sammaro (di cui parleremo prossimamente) e il Calore.
Per alcuni, quest'ultimo nome è sinonimo di lontra e non è stato un caso che i nostri angeli custodi in questa missione cilentana siano stati proprio degli esperti di questo splendido animale. Romina Fusillo e Manlio Marcelli sono due vecchie conoscenze e due biologi romani che da tempo hanno scelto di vivere in Cilento per studiarne l'abbondante popolazione di lontra e che hanno fondato una società, la LUTRIA snc, che si occupa di ricerca e conservazione degli habitat fluviali, qui come nelle regioni circostanti. Grazie ai loro consigli e alle preziose indicazioni, io e Maurizio abbiamo potuto individuare i punti migliori dove fotografare le gole del Calore e dove tentare (invano) di osservare la lontra.
Pur conoscendo molte gole scavate da altri fiumi italiani ancora selvaggi, posso dire che nulla regge il confronto con la monumentale opera d'arte che le acque del Calore hanno intagliato nelle sponde calcaree. Chilometri di massi giganti, sponde accidentate che sembrano bocche di squali, placche di erosione che generano cascate e rapide, correntine e gorghi con cui giocano le acque assolutamente blu di questo bellissimo (terzo superlativo!) corso d'acqua. Le sue rive odorano di macchia mediterranea e degli spraint della lontra. I rospi si riproducono dove l'acqua è più calma e il merlo acquaiolo nidifica nei punti più inaccessibili, risalendone il corso con il volo teso e rapido, come abbiamo potuto osservare di persona durante le nostre esplorazioni. È una fonte di stimoli senza fine per il fotografo, che rischia seriamente di impazzire nel cercare di immortalarne tutti gli angoli.

Vorrei tanto proseguire in questo racconto continuando a snocciolarvi altri superlativi positivi, ma devo fermarmi qui. Questa missione in Cilento infatti è stata anche molto triste.
Risalendo il corso del Calore, a monte delle sue splendide gole e in particolare sotto il paesino di Valle dell'Angelo, io e Maurizio abbiamo assistito attoniti all'insospettabile stato di degrado che affligge questo fiume. Una vera e propria discarica a cielo aperto infatti sorge nei pressi del paese e i suoi rifiuti vengono portati via dalle acque del Calore. In questo tratto le sue sponde sono letteralmente ricoperte di immondizia, che va dai sacchetti di plastica alle reti dei letti.
Il morale dei giorni precedenti ovviamente è sceso rapidamente a zero, quando ci siamo resi conto che qui come altrove alla bellezza di un luogo spesso non risponde alcuna consapevolezza da parte di chi lo abita. Io e Maurizio abbiamo riflettuto sul significato di un progetto come il nostro. È il fatto di essere nel cuore di un Parco Nazionale di certo non aiuta a smorzare il dolore di questa amara esperienza.



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