Maurizio Biancarelli-Parco Naturale Adamello-Brenta, Trentino

La baita Matarot in Val di Genova
Ho accolto con molto piacere l’opportunità di fotografare questo bellissimo angolo di Trentino, tanto più perché si è trattato di una esperienza condivisa con Luciano Gaudenzio e Marco Rossitti, il nostro regista, e con la troupe che lo accompagna durante le riprese delle nostre missioni.
Una missione importante in uno dei parchi più vasti e affascinanti delle Alpi, nel quale sono presenti due massicci molto diversi tra di loro: il gruppo Adamello-Presanella, costituito da rocce magmatiche, (un esempio delle quali è la tonalite, simile nell'aspetto al granito), e il Brenta, catena invece costituita da rocce dolomitiche. 
Vasti boschi coprono le vallate montuose e non mancano ghiacciai (il più ampio delle Alpi italiane è proprio quello dell’Adamello), cascate, torrenti limpidi e laghi piccoli e grandi disseminati un po' dovunque e circondati, spesso, da panorami mozzafiato. 
Trentino Sviluppo e le APT hanno garantito assistenza e ospitalità, fondamentali per riuscire ad organizzare al meglio il lavoro. Un ringraziamento sentito va dunque alla loro collaborazione.


7-10 ottobre 2014

Arrivo a Pinzolo la sera del 7 ottobre dopo aver percorso 600 km tra autostrada e strade di montagna, giusto in tempo per la cena. Il viaggio è stato impegnativo anche perché sono reduce da un viaggio bello ma impegnativo in Islanda.
Ritrovo con piacere volti amici e l’atmosfera è quella eccitata delle grandi occasioni: Luciano e gli altri sono arrivati un paio di giorni prima e mi raccontano che l’alba all’altipiano del Grostè è stata magnifica quella mattina: bella luce rosata e nuvole giuste per foto d’atmosfera, le aspettative quindi non sono andate deluse. 
Mi fa piacere, saranno nuove belle foto per il progetto, anche se, allo stesso tempo,  mi rammarico di avere perso per un soffio una bella opportunità.
Le previsioni per i giorni  seguenti non sono rosee: purtroppo le perturbazioni atlantiche si susseguono ininterrotte, non resta che sperare in qualche pausa che ci permetta di lavorare. 
Non c’è niente di più frustrante che trovarsi in un luogo magnifico, a centinaia di chilometri da casa, e non riuscire neppure a vedere i contorni delle montagne a causa delle nubi che gravano insistentemente sulle vette.
Il mattino successivo, all’orario concordato, arriva Giuseppe, la nostra guida, per accompagnarci in Val di Genova, una delle più belle del parco. 
Purtroppo piove e  nuvole basse ristagnano compatte sui pendii. Tentiamo subito qualche scatto all’ingresso della vallata, ma la luce è pessima. Proseguiamo inoltrandoci per chilometri mentre Giuseppe, appassionato e informato, ci racconta dettagli interessanti sulla natura del parco. Dopo qualche breve sosta fotografica arriviamo quasi in cima alla testata della valle, parcheggiamo e saliamo a piedi fino alla baita Matarot. 
Nuvole basse e pioggerella, ma anche i primi colori dell’autunno sui larici. Il torrente è gonfio d’acqua, costeggiandolo trovo qualche rana temporaria che saltella e si sposta sulla riva. Una alla fine decide di fermarsi e fa bella mostra di sé comodamente acquattata sopra un umido ciottolo di tonalite. Un connubio perfetto, troppo invitante per resistere, mi abbasso e faccio qualche scatto.
Gironzoliamo un bel po' alla ricerca di qualche inquadratura, cerchiamo di sfruttare le possibilità offerte dalla mattinata uggiosa, anche Marco si dà da fare e ci invita a collaborare, dandoci istruzioni per effettuare alcune riprese mentre camminiamo e scattiamo foto. 
Dopo un bel pezzo scendiamo di nuovo alla macchina e torniamo lentamente indietro, ma un tratto di bosco ammantato di nebbia attrae la nostra attenzione. Luciano ed io decidiamo d’impulso di tentare qualche scatto, insieme ad Andrea e Francesco, che utilizzano il drone. 
È quasi ora di pranzo, non abbiamo portato niente da mangiare con noi, ma la voglia di fare prevale sulla fame, il pranzo è rimandato, ci accordiamo con il resto della troupe che andrà a fare provviste, ci ritroveremo e mangeremo poi tutti assieme nel pomeriggio. 



La giornata prosegue con un tempo che si mantiene grigio, ma non ci arrendiamo e facciamo tutto il possibile cercando di sfruttare le condizioni che abbiamo per fissare immagini autunnali anche se ciascuno in cuor suo sogna di avere la bacchetta magica per aprire nel cielo grigio un bel varco che, di colpo,  diffonda luce, vita e magia nel paesaggio maestoso ma plumbeo e un po' opprimente.
Anche il drone non collabora, ha smesso di funzionare; trovo lungo il sentiero Andrea e Francesco che stanno trafficando per cercare di riattivarlo.  
Nei giorni seguenti il ritmo di lavoro si mantiene costante: alzate antelucane, breve sosta nel mezzo della giornata e poi di nuovo fuori fino al tramonto.
Ogni volta scegliamo nuove location, ci facciamo consigliare da Giuseppe, alla cui conoscenza dei luoghi ci affidiamo volentieri, la sua esperienza è per noi fondamentale nel programmare il lavoro. 
La visita al lago di Valdagola è stata per me una delle più fruttuose di questa missione di inizio ottobre. Lungo le rive nuclei di faggi in veste autunnale si inseriscono come macchie di colore tra le scure cortine di abeti. Ravvivano l’ambiente e testimoniano della varietà e ricchezza del manto vegetale di queste montagne. 
Passiamo diverso tempo a perlustrarne lentamente le rive, felici di scoprire in angoli diversi inquadrature interessanti, riflessi e colori. A tratti nel cielo si aprono temporanei varchi, fasci di luce ravvivano l’ambiente e sollevano il nostro umore.
Alla fine però il cielo si richiude, ricomincia a piovere, e lentamente torniamo verso le macchine, lo stomaco reclama e il pasto caldo e l’accoglienza calorosa ricevuta nella vicina foresteria del parco sono proprio benvenuti.


Il lago di Valdagola
I giorni passano e la luce, che speravamo di trovare buona almeno in qualche occasione, non è mai saltata fuori sul serio. Anche la prevista uscita con l’elicottero per le riprese dall’alto è stata rinviata per le condizioni meteorologiche sfavorevoli. 
Dalla locale APT ce lo comunica Alberta, che insieme a Walter, si sta prodigando con passione per la riuscita al meglio del nostro lavoro.
Pazienza, è andata così, poteva andare meglio, ma qualcosa di buono comunque abbiamo ottenuto e poi in programma c’è già un ritorno. Tra una decina di giorni saremo ancora qui. Luciano verrà di sicuro e anch’io cercherò di fare tutto il possibile per essere presente almeno per qualche giorno.
Tenteremo ancora le sorti, sperando di trovare stavolta condizioni più favorevoli.









Luciano Gaudenzio - Carnia, cuore verde del Friuli Venezia Giulia - Parte seconda

Casera Razzo, al confine tra il Friuli e il Veneto. Sullo sfondo il Monte Bivera




Sono disteso sul letto e come spesso mi succede ripenso alla pianificazione fatta per l'indomani...."ho messo tutto nello zaino?", "ho calcolato correttamente i tempi necessari per arrivare con calma sul posto e anticipare l'alba?" poi, di seguito, arrivano i pensieri più...."artistici". Ripenso al luogo che conosco bene, e immagino le inquadrature che potrò realizzare, sperando, come sempre, di essere aiutato dalla luce.
Ma il pensiero che costantemente rimbalza tra tutti, è relativo alle condizioni che troveremo lassù: "quanta neve ci sarà ancora"?
E' maggio, ma quest'anno in quota ha nevicato come mai succedeva da tantissimi anni.
Il lago che dovremo fotografare si starà sciogliendo o sarà ancora immerso nella morsa dell'inverno?
Questo sovraffollamento mentale dura pochi minuti. Tutti sappiamo quale magnifica macchina da calcolo sia il nostro cervello e quanti migliaia di dati possa elaborare in pochi minuti, se non secondi.
Presto mi addormento.
E nello stesso tempo in cui mi sembra di essermi addormentato, di colpo, improvvisamente, vengo svegliato dall'odioso suono della sveglia impostata sul cellulare.
Devo aver dormito pochi minuti mi dico, controllo e purtroppo l'ora è giusta.
Assieme a me ci sono Marco, il regista de L'Altroversante e il direttore della fotografia, Bruno. Anche se siamo all'inizio di quella che sarà una lunghissima storia che vivremo assieme sulle montagne italiane, l'intesa è già molto forte. All'inizio mi è sembrato strano vedere delle persone che ti girano attorno mentre stai fotografando. Non è facile abituarsi. Ma la passione per la Natura e la contemplazione, aiuta a creare brigata.
Facciamo velocemente colazione. In silenzio. Carichiamo la macchina e partiamo in direzione della Val Pesarina, Casera Razzo, un valico proprio sul confine tra il Friuli Venezia Giulia ed il Veneto.
L'obiettivo che ci siamo posti è quello di fotografare un lago effimero che si forma solo in primavera con lo scioglimento della neve caduta durante l'inverno. In particolare mi piacerebbe riprenderlo al disgelo, ancora con un pò di ghiaccio in superficie e sullo sfondo il Monte Bivera, una delle montagne icone della Carnia.
Mentre guido nella notte tra gli stretti tornanti che portano alla forcella Lavardet, sbircio curioso attraverso il parabrezza, verso l'alto, verso il cielo. Non riesco a capire se ci sono stelle. Forse si, qualcuna, ma sembra una giornata piuttosto nuvolosa. Bene! Nella fotografia di paesaggio, la variabilità delle condizioni atmosferiche aiuta moltissimo a riprendere un determinato luogo o soggetto in condizioni insolite.
Arrivati alla Forcella, capiamo però che sarà una giornata difficile. Si vede a pochi metri. Le nuvole basse che molto spesso si formano all'indomani di una giornata piovosa, avvolgono tutto, dalla foresta alla strada che stiamo percorrendo, dove ancora abbondano cumuli di neve piuttosto consistenti.
La temperatura esterna si aggira attorno allo zero.

Arriviamo al parcheggio di Malga Razzo che è ancora buio e c'è tanta, tanta neve.
Ci incamminiamo verso il lago. Spero vivamente che non sia tutto coperto.
Le nuvole basse sono ancora presenti, ma si è alzato il vento e questo è un ottimo segnale.
Ancora pochi passi e nella fioca luce dell'alba intravediamo il lago. La neve lo ricopre ancora, ma sotto, l'acqua, comincia a farsi spazio. Sembra un puzzle che si sta formando.
Il vento, molto forte, fa il suo dovere. Non entra la prima luce, quella più calda che colora le nuvole. Probabilmente lontano, dove sta sorgendo il sole, ammassi nuvolosi impediscono ai suoi raggi di raggiungere la cima del Bivera. Attendo una decina di minuti e la luce finalmente comincia a filtrare e illumina dolcemente la cima del gruppo montuoso.  


L'atmosfera è però interessante. Sul lago, sull'intera piana, aleggia una dolce nebbiolina in dissolvimento, così proprio in quell'istante, decido di scattare. La composizione sul lago l'avevo preparata ormai da diversi minuti.

Poi volgo la mia attenzione sulle nuvole scure che danzano veloci nel cielo, sopra la montagna. La luce illumina il crinale e crea un meraviglioso contrasto.
Oltrepassato il crinale, il sole comincia ad arrivare sul bosco di larici, dove regna una certa confusione.
Probabilmente più di una valanga si è abbattuta su loro, piegandoli, contorcendoli ma non spezzandoli.
Sono stanchi di questo lungo inverno e lo manifestano nei verdi tendenti al giallo che presto diverranno molto più scuri.
In tutta la vallata echeggia il soffio del gallo forcello e i suoi ritmati gorgoglii.


Il resto della mattinata, finchè ancora la luce regge, è dedicata alle riprese video. Su e giù per il crinale innevato, con sullo sfondo il Bivera. Con il vento fortissimo che spazza la vallata è una vera faticaccia!
Quando Marco e Bruno si dedicano agli ultimi ciak, decido di riposarmi un attimo davanti ad una delle stalle della Malga.
Siamo a maggio! giudicate un pò voi.....
Mentre il gallo forcello non ne vuole sapere di smettere di cantare, rifletto su quanto dura sia la vita a queste quote.
Sicuramente per gli animali. Ma anche per le poche persone che decidono coraggiosamente di abitarci.

Una mezz'ora dopo questa riflessione ne ho la certezza.
Ci troviamo al Rifugio Tenente Fabbro.
Davanti ad una tazza di caffè fumante, la giovane coppia di gestori, che qui si ferma per tutto l'inverno, ci racconta di un tempo inclemente, che li ha fatti lavorare pochissimo, isolandoli anche per settimane di fila.
Incredulo, guardo la foto ricordo del papà che la ragazza mi ha portato appoggiandola sopra il bancone. Un ritratto sopra il tetto del rifugio che di suo fa tre metri e mezzo e altrettanti ce ne sono sopra la sua testa....in totale più di 7 metri di neve!
Papà e amici sono arrivati da Laggio, un piccolo paesino del Cadore, nel Veneto, quando il tempo glielo ha permesso.
Con gli sci e le motoslitte tutti ad aiutare i coraggiosi giovani gestori e la loro bimba di appena pochi mesi.
Io e Marco, ci guardiamo d'intesa. Siamo senza parole, un pò ammirati, un pò stupiti dal coraggio e dalla loro scelta di vivere in un rifugio isolato da tutto e tutti.
Speriamo che l'estate sia più clemente e riservi loro tante soddisfazioni. Se lo meritano davvero.

Maurizio Biancarelli - Orridi di Uriezzo e Marmitte dei Giganti meraviglie di roccia - Piemonte




Dettaglio delle marmitte dei giganti

Fino a circa 12000 anni fa il grande ghiacciaio del Toce ricopriva la Valle Antigorio (provincia del Verbano-Cusio-Ossola), in Piemonte. A valle del ghiacciaio scendevano una serie di torrenti che,  con le loro acque vorticose, scavavano lentamente canyon sempre più profondi e stretti nella roccia viva. 
Col cambiamento climatico e col susseguente, progressivo ritiro dei ghiacciaio questo reticolo di canyon è stato abbandonato dalle acque e oggi è possibile percorrerlo tranquillamente a piedi.



Di ritorno da Devero, ho deciso di dedicare un paio di giorni a visitare questo angolo così particolare: infilarsi nel dedalo di strette pareti rocciose dominate  dall’oscurità e da un’atmosfera costantemente umida fa un certo effetto. È un po’ come visitare le viscere della terra e tornare indietro nel tempo di millenni. 
A tratti penso alla potenza della gran massa d’acqua che scorreva impetuosa dove ora mi sto insinuando e sento brividi lungo la schiena. 
Le pareti erose sono lisce e verdastre per la presenza di muschi, epatiche, felci  e altre piante amanti del clima umido. 
Marmitte dei Giganti
Ho deciso di visitarli tutti, e cammino da ore, mentre ogni tanto scatto delle foto nei punti che più attirano la mia attenzione. Tutt’attorno pareti levigate, messe in risalto dalla luce radente che scende perpendicolare, rocce come valve lisce di enormi conchiglie. Mi sento avvolto, osservo incuriosito ed estasiato. Nei punti più stretti una sensazione di disagio affiora, l’ambiente sembra improvvisamente estraneo e opprimente, ma è solo un attimo. La voglia di scoprire, di vedere oltre  vince. Avanzo quindi lentamente, in alcuni punti i passaggi sono così stretti da dover faticare non poco  per passare con lo zaino sulle spalle e il cielo di colpo scompare sostituito dall’incombere minaccioso delle rocce. È quasi buio, anche se siamo nel primo pomeriggio.
Mi piacciono molto i luoghi d’acqua e questo connubio tra roccia, elemento liquido,lento trascorrere del tempo, oscurità rende ancora più intrigante la scoperta degli Orridi di Uriezzo.
Mentre avanzo incontro anche un gruppo di turisti, non sono molti ma sento il loro vociare da lontano. Sono accompagnati da una guida; si trattengono un pò nel punto in cui mi sono fermato, ci salutiamo  e poi loro vanno avanti, proseguono il cammino mentre le voci si affievoliscono e poi spariscono del tutto.Il silenzio ora è tornato perfetto, niente lo interrompe.
Passo un intero pomeriggio a visitare un luogo dopo l’altro: orrido sud, orrido nord-est, orrido ovest. Faccio tutti gli spostamenti a piedi e, quando la sera torno al camper, sono decisamente stanco e pronto per una buona cena che mi rimetta in sesto prima della lunga, meritata dormita.
La giornata è stata produttiva, con una bella luce diffusa perfetta per fotografare nel fondo degli abissi rocciosi.

La mattina successiva resto in zona per visitare le Marmitte dei Giganti in località Verampio. Anche queste sono impressionanti forme erosive create dalla forza delle acque di fusione del ghiacciaio. I ciottoli e i detriti sbattuti dalle correnti contro le rocce hanno contribuito alla formazione di varie cavità emisferiche di grandezza e forme diverse. 
Pozza d'acqua scavata nella roccia
I colori della pietra, lo scorrere delle acque che formano salti e cascatelle sono i soggetti di questa lunga mattinata passata a spostarsi sulla riva a cercare i punti più interessanti. Anche oggi un cielo nuvoloso mi aiuta a ridurre il contrasto, devo solo stare attento a non mettere i piedi sul bagnato; scivolare è tutt’altro che impossibile e anche di recente qui sono successe delle disgrazie dovute ad imprudenza e disattenzione. 
Cerco punti di ripresa diversi, anche a livello dell’acqua, provo con varie ottiche, sono affascinato da forme e colori che, specie se visti dall’alto, tendono a creare immagini astratte. È sempre bello ed efficace affiancare nel mirino un elemento sfuggente, in perenne moto caotico come l’acqua ai profili netti, ora duri e taglienti ora più morbidi, delle rocce.


Orridi di Uriezzo



Bruno D'Amicis - Faggete del Parco Nazionale d'Abruzzo, Lazio e Molise





Le faggete appenniniche e, in particolare, quelle del Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise non hanno certo bisogno di presentazioni. Dalle ordinate, quasi grafiche (e... noiose!) faggete coetanee, gestite per i tagli alle cosiddette “difese”: radure arborate di origine medioevale, con alberi enormi “capitozzati”, dalla tipica forma a candelabro. E ancora, troviamo i piccoli faggi contorti al limite della vegetazione arborea che stentano a crescere per la neve e i veri giganti silenziosi (i più vecchi d'Europa!) ricoperti di muschi e licheni, delle foreste vetuste. Ogni tipo di faggeta racchiude




un’atmosfera tutta sua e stimola emozioni e sensazioni ogni volta diverse. Entrare in una faggeta per esplorarla visivamente e fotograficamente è un lavoro intenso e faticoso. La composizione richiede attenzione e pazienza. Alcune situazioni, specie quelle più naturali, sono un vero rompicapo. E, poi, qui la luce è davvero tutto. Meglio, anzi, quando la luce non c’é: nebbia e giornate nuvolose sono le migliori per “scomparire” nel fitto di una foresta.

Questa delle faggete appenniniche è un po’ una missione “sui generis” per L’Altro Versante. Primo, perché è un lavoro in corso che io sto portando avanti già da diversi anni e da cui, quindi, attingerò immagini e spunti per il nostro progetto. Secondo, perché sono quasi tutti luoghi che io conosco talmente bene da potermi permettere di lavorare con calma. Ripercorrendo i miei passi anche più di una volta. Concedendomi il lusso di sfruttare più stagioni, cogliendo quindi il meglio di un anno e recuperando magari gli scarsi risultati di uno più sfortunato. 

L’autunno e, in particolare, il picco dei colori del fogliame morente, è sicuramente il periodo più attraente e, se vogliamo, più kitsch per ritrarre queste foreste. Ma non tutti gli anni sono uguali e questo 2014 sembra piuttosto imprevedibile e “spento”. Per quanto appena detto, sono felice di poter contare sui prossimi anni per cercare ottenere quello che voglio presentare per L’Altro Versante.

Detto questo, proprio nello spirito del progetto e data la sua ambizione per così dire innovativa, mi sto imponendo un diverso approccio al tema “faggete in autunno” e una rigorosa disciplina nel voler ri-esplorare situazioni classiche in momenti o con tecniche un tantino “diversi”… Mi spiego meglio: non credo che si possa davvero inventare qualcosa di davvero nuovo, né ho un coniglio da tirar fuori dal famoso cilindro, ma sto scoprendo il piacere di uscire un poco dagli schemi e divertirmi. Mi trovo quindi ad utilizzare l’obbiettivo che mai avrei scelto e che di solito rimane in fondo alla borsa; oppure ad attendere che la luce scenda oltre i limiti del visibile, per far apparire colori inusuali sul sensore o addirittura a fotografare gli alberi dopo che le foglie… sono cadute! E, talvolta, a fare tutto il contrario.
Insomma, un esercizio sia personale che di manifesto, in quanto parte di un progetto collettivo e di comunicazione, che mi sta dando tante soddisfazioni e, soprattutto, l'occasione di passare quanto più tempo possibile nell’atmosfera umida e muscosa delle ombrose e stupende faggete delle mie montagne.

Maurizio Biancarelli - Un giardino fiorito tra alte vette -Parco naturale Alpe Devero e Veglia, Piemonte

Un mare di nebbia ricopre la Val d'Ossola all'alba

giugno- luglio 2014

Arrivo a Devero dopo un viaggio di 600 km e mi accorgo subito che c’è qualcosa di diverso quassù. Devo lasciare il camper nel parcheggio e proseguire a piedi per raggiungere il paese, il traffico è interdetto e una sbarra che blocca l’unica strada di accesso non lascia adito a dubbi. Non è un problema, vorrà dire che nei prossimi giorni l’esercizio fisico sarà garantito.
Il tempo è perturbato, piove a tratti, sembra che l’estate alpina (e non solo alpina, per la verità) quest’anno non voglia regalare troppo sole. Pazienza, cercherò di sfruttare la luce diffusa e le atmosfere sospese del  tempo nebbioso, che altro fare?
Il paesino è molto bello, case restaurate per la maggior parte rispettando l’architettura originaria, in pietra locale con legno scuro.  Niente traffico e l’impressione è di genuinità, ben diversa da un certo stile esageratamente turistico. 
Anche qui non mancano guasti,  e progetti di ampliamento di impianti sciistici che certo produrrebbero un'alterazione pesante dell'ambiente montano, ma nel complesso il meglio prevale ancora.
Prima di venire ho contattato la direzione del parco, che si è dimostrata collaborativa. 
Il giorno seguente, entro nel bar all’inizio della salita che conduce al paese per un caffè e da lì telefono al direttore Ivano De Negri, che rende subito disponibile un rifugio all’Alpe Forno dove potrò sostare per un paio di notti, visto che le previsioni - piuttosto negative - parlano a breve di una finestra di bel tempo da sfruttare al volo.


Nuvole e nebbie sui boschi di Devero
Radames, la guida che dovrebbe accompagnarmi è però al momento impegnato e allora, parlando con Andrea, che gestisce il bar insieme a Monica, salta fuori che sarebbe disponibile lui ad accompagnarmi. Dopo una bella chiacchierata si è creata subito sintonia, Andrea sa ormai quanto basta del progetto e mi fa capire che per lui sarebbe un piacere salire insieme agli oltre 2000 metri dell’Alpe, un bel punto panoramico sulle più alte vette del parco, poste proprio ai confini con la Svizzera. 
Approfitto volentieri della buona sorte, Andrea è simpatico, in forma e conosce bene le sue montagne, ci accordiamo in fretta sull’orario: saliremo nel pomeriggio, per essere al rifugio prima di notte. 
Alle tre del pomeriggio partiamo. Finster, il labrador di Monica e Andrea, verrà con noi: è vivace e pieno d’energia, si vede che ha voglia di farsi una camminata. 
Quando partiamo c’è il sole, ma durante la salita ogni tanto arriva, improvviso,  qualche acquazzone. I rododendri sono in fiore, il loro profumo sa di buono, lo respiro a fondo mentre saliamo e ogni tanto chiedo ad Andrea di fermarsi per qualche foto. In alcuni tratti un vero e proprio giardino fiorito ci accoglie: la natura s’è messa il vestito della festa e lo mostra orgogliosa.


Rododendri e veratro bianco sulle rive di un torrente



Rododendri,  Codelago sullo sfondo
Quando arriviamo al rifugio fa freddo, siamo vicini al tramonto, Andrea mi saluta in fretta e imbocca la via del ritorno con Finster che lo segue da vicino. Non vuole arrivare al paese troppo tardi. 
Il rifugio è restaurato da poco, e per me è un vero Eden: posizione magnifica, c’è un letto confortevole, una stufa e il necessario per cucinare. Tiro fuori il sacco a pelo, accendo la stufa e mi preparo per la cena e la notte, ma prima decido di uscire per un giro di ricognizione, voglio sfruttare la luce del crepuscolo. C’è ancora molta neve intorno e cammino evitando i numerosi ruscelli gonfi d’acqua che costellano torbiere e vallette nivali creando sinuosi meandri tra la bassa vegetazione d’altitudine. Oltrepasso ponti di neve e avanzo cercando un buon punto di vista per il tramonto. 



Vorrei una bella foto con la teoria delle alte vette austere per dare un’idea del parco, ma posso solo immaginare, non conosco per niente il posto. Seguo l’istinto decidendo, mentre cammino, dove dirigermi. Qualcuno dice che è il paesaggio stesso che guida i tuoi passi mentre ti muovi in natura. Non so, forse è solo questione di esperienza e di sesto senso fatto sta che, quando la luce del tramonto è al culmine mi trovo su un poggio erboso difronte ad una piccola pozza dalla forma irregolare mentre nel cielo una nuvola solitaria si accende di un bel rosa carico. Sullo sfondo, nella luce tenue, cime possenti cariche di neve. Sono stanco per la salita e per il freddo, ma l’adrenalina adesso scorre e mi aiuta a trovare le energie. Non posso sprecare questa occasione e mi sposto veloce per assicurarmi la migliore posizione per la foto. Vorrei che la superficie immobile dell’acqua della pozza si riempisse del riflesso della bella nuvola in cielo. 

Quando torno alla baita è buio, ma un piacevole tepore mi accoglie. Cena frugale e poi a subito a nanna.
La mattina dopo salta la prevista uscita all’alba, il tempo è peggiorato: forti raffiche di vento durante la notte scuotono le imposte e la neve imbianca tutto. Durante la mattina migliora e la neve si scioglie al tepore del sole; guardando fuori dal finestrino, mi accorgo di essere circondato dalle marmotte. Escono dalle tane, prendono il sole, corrono, mentre le osservo divertito dall'interno, tentando qualche scatto senza troppa convinzione, per la verità. Ho voglia di godermi lo spettacolo e il silenzio.
Più tardi ricevo una telefonata da Radames, il guardaparco, che mi verrà a prendere l’indomani mattina per scendere insieme: il tempo è di nuovo in peggioramento. 
La mattina successiva mi alzo per l’alba e dopo una serie di foto alle vette riflesse nei laghetti d’alta quota, inizio la discesa in compagnia di Radames. Vedo nuovi posti e ascolto con attenzione la mia guida che sa tutto delle montagne dove è nato. Storia delle interazioni fra uomo e boschi, notizie sulla fauna e una passione condivisa per i lupi, sono alcuni degli argomenti che affrontiamo mentre godo del paesaggio e scatto alcune immagini. 
Uno degli aspetti più piacevoli del nostro progetto è proprio quello di conoscere persone competenti e appassionate, con le quali è facile entrare in sintonia e dalle quali ricevi informazioni impossibili da trovare altrove. Radames mi confessa anche la sua preoccupazione per i piccoli di gallo forcello: il tempo inclemente nel momento della schiusa  delle uova fa strage di pulcini e quest’anno non promette affatto bene. I censimenti indicano, per fortuna, popolazioni di adulti piuttosto numerose negli ultimi anni. Le ore passano veloci mentre scendiamo e chiacchieriamo e presto ci ritroviamo al bar di Andrea, dove ci rifocilliamo ben volentieri. 

Laghetti sull'Alpe Forno


Il colore incredibile del limpido laghetto delle streghe, Crampiolo

Molti sono i programmi per i giorni successivi: per esempio visitare il laghetto delle streghe a Crampiolo e il lago Nero sul Cazzola. Tempo permettendo, naturalmente.


Bruno D'Amicis - Abetina di Rosello e Cascate del Verde - Abruzzo

Diciamocelo, Rosello e Borrello, Comuni della Provincia di Chieti a pochi chilometri di distanza tra loro, non sono proprio dietro l'angolo. Anche partendo da molte località in Abruzzo, un'ora e mezza o due di auto e curve vanno messe in conto. Lasciate le autostrade e le superstrade, però, non si guarda più il contachilometri e gli occhi vengono rapiti dal paesaggio incredibile che si svela davanti. Un antico mosaico ambientale, commoventi borghetti medievali abbarbicati sulle alture, Madama Majella a chiudere l'orizzonte: la Valle del Sangro è davvero lo Shangri-La d'Abruzzo.
Sono venuto sin qui per fotografare due piccole, ma importanti riserve naturali: l'oasi delle Cascate del Verde di Borrello e l'Abetina di Rosello, parte delle ultime foreste di Abete Bianco dell'Appennino Centrale, che caratterizzano quest'area di confine tra Abruzzo e Molise. 

Con tre salti che insieme superano i 200 metri, quelle del Verde sono le cascate naturali più alte d'Italia. A ragione attirano quindi ogni anno migliaia di turisti e una cooperativa di giovani locali si occupa della gestione e dell'accoglienza dell'oasi. 
Ho dato appuntamento qui anche al regista de L'Altro Versante TV Marco Rossitti e alla sua troupe che arrivano dal lontanissimo Friuli per filmarmi in azione in questi luoghi. Ad attenderci e guidarci, l'amico Giuseppe Di Renzo della cooperativa Rio Verde Ambiente e Turismo, profondo conoscitore della zona nonché appassionato fotografo.
Ci avviciniamo lentamente ai salti d'acqua, saltellando su massi e graffiandoci tra i cespugli, carichi di attrezzatura come muli. Il rumore dell'acqua si fa sempre più forte. La cascata si rivela, con la sua acqua pulitissima. Foglie morte che danzano nei gorghi come poesie haiku e bellissimi aceri ed ornielli che crescono sui massi scolpiti delle rive, quasi consapevoli delle regole della composizione fotografica... E io ho nemmeno due giorni per fotografare 'sta meraviglia! 

Tempi lunghi o brevi? Inquadrature larghe o dettagli? Classiche o creative? Il cervello fa automaticamente le sue scelte e alla fine la virtù come sempre, sta nel mezzo. Decentrabile e 50 mm la faranno da padrone. Alla fine, tutto sommato, sono soddisfatto. Peccato, una puntina di colori nel bosco in più non avrebbe guastato: ma con quest'autunno pazzo, non mi posso lamentare. Le foglie sarebbero potute già essere a terra!

Ci avviciniamo a Rosello e ammiriamo i crinali boscosi che vanno da Castiglione Messer Marino fin verso Pescopennataro e Capracotta, il Molise. I boschi di faggio, acero e altre caducifoglie stranamente ancora verdi in alcune parti e rossi in altre, sono tutti punteggiati dal verde scuro degli abeti bianchi. Abies alba, che in queste zone raggiunge altezze ragguardevoli, è un albero bellissimo, che mette soggezione e tranquillità al suo cospetto.

Per esplorare da vicino la Riserva Naturale dell'Abetina di Rosello e avventurarci nei suoi angoli più nascosti, non potevamo non farci condurre da una guida d'eccezione, il grande Mario Pellegrini, profondo conoscitore della natura appenninica e vero e proprio genius loci di queste zone. A lui va il merito della creazione di questa bellissima area protetta quasi vent'anni fa e della conoscenza del suo complesso ecosistema. Mentre camminiamo verso la forra del torrente Turcano, Mario snocciola dei numeri: 450 specie di funghi, 600 di coleotteri, una marea di specie vegetali, tra cui il bellissimo Acero di Lobel. E poi anfibi, rettili, uccelli e mammiferi: una fauna d'eccezione, che vanta l'orso bruno marsicano, il lupo, l'astore, il picchio nero, quello mezzano e il dorsobianco. Troviamo tante tracce delle presenze faunistiche, ma l'unico incontro ravvicinato è con una microscopica Salamandrina di Savi, anfibio urodelo che si trova solo in Italia peninsulare e piuttosto raro nel versante Adriatico. Qui, nel regno dei muschi e del legno morto, abbondantissima.

Entriamo nella forra, passando accanto a enormi tronchi di Abete che sembrano zampe di elefante. Alcuni alberi, ci rivela Mario, superano i cinquanta metri di altezza e un paio, sembra, superano addirittura i 56 metri. Guadagnando così il titolo di alberi più alti d'Italia e rivaleggiando con simili in Croazia per quello di alberi più alti d'Europa.
Non è facile fotografare questo bosco. E' tutto un intrico di alberi morti, rami, foglie e ostacoli. Ma questa è Natura selvatica e quindi bisogna farsene una ragione. Come non concentrarsi sulle foglie morte in una pozza o sui funghi giganti che crescono sui tronchi? E i licheni su quel rametto? Mamma mia, quanto è alto quell'albero!

Dovrò tornare diverse volte nella riserva per portare a casa delle immagini che mi soddisfino. La prima volta una nebbia fittissima ha avvolto tutto per tre giorni. Poi, sole e luce forte. Ogni volta nuove soluzioni da cercare. Ogni decina di metri ha richiesto un'ora di esplorazione visiva per le infinite possibilità che questo ricco ecosistema offre. E' difficile non cadere nella banalità con una foresta del genere e quindi ci si sforza di mantenere una visione fresca e creativa. Ma quando arriviamo ad un ansa del torrente Turcano, dove due abeti enormi coperti di muschio sono crollati mettendosi di traverso e i colori dell'autunno dei faggi appaiono sullo sfondo, non voglio sentire nessuno: treppiedi, grandangolo, polarizzatore e grande profondità di campo. Immagini classiche e semplici. La contemplazione estatica, infatti, non tollera distrazioni. 






Maurizio Biancarelli - I Monti Sibillini, tra natura e mistero, Umbria e Marche - Parte terza



10-16 luglio 2014

La fioritura estiva nei campi coltivati attorno a Castelluccio è un tripudio di colori, un vero inno alla bellezza e alla biodiversità. Non è per me uno spettacolo nuovo e mentre cammino ai bordi delle distese fiorite rifletto e cerco di immaginare foto originali da scattare: da un nuovo punto di vista, con un’angolazione particolare o magari cercando di sfruttare una condizione atmosferica inusuale, visto il tempo che quest’anno si presenta così variabile.
Non sono solo, incontro ogni tanto altri fotografi. 
La “fiorita”, come sempre, mi conquista, e non riesco ad evitare di meravigliarmi di fronte a quel controluce che cade sul posto giusto, proprio in quell’angolo così colorato, a quello sfondo che sfuma gradevolmente, dando un senso di piacevole indefinito all’immagine, alla luce spot che crea chiaroscuri sulla tavolozza di colori sempre mutevoli del Piano Grande.
Stamattina i rondoni hanno deciso di sfrecciare, imprevedibili e fulminei, a raso di papaveri e fiordalisi a caccia di insetti, proprio davanti a me, nella zona che sto fotografando. 
Ali velocissime fendono l’aria con rumore secco. Gridi acuti e poi snelle sagome nere sfiorano sicure le distese dei campi, carichi di colore in controluce. Sono tutt’ attorno a me: risalgono, precipitano in picchiata, virano. Da sole, in coppia, in gruppo. Intreccio di voli, energia libera, trionfo di bellezza. Sono contagiato dalla loro frenesia, voglio riuscire a catturare  l’ impressione di questo momento, userò il tele, ho portato con me il 400 mm.


In questi giorni sta accadendo qualcosa di speciale: la troupe televisiva che lavora in collaborazione con il progetto L’Altroversante è qui ed ha iniziato a  riprendermi mentre sto completando la missione sui Sibillini. Marco Rossitti, il nostro regista, dirige le riprese dei due operatori, uno dei quali, Andrea, controlla il drone per le riprese aeree, mentre Bruno lavora con la telecamera a terra. 
Per me essere ripreso è una novità e la sensazione di essere osservato non è proprio il massimo per favorire la concentrazione necessaria a fotografare. Soprattutto il drone che ronza inquietante da ogni lato sollevando mulinelli d’aria sui fiori dei campi quando s’abbassa crea un certo disagio, ma accetto volentieri quanto sta accadendo. Abbiamo deciso che il nostro progetto sia multimediale e perciò le riprese video di backstage non possono mancare e servono ad arricchire l’offerta e il messaggio veicolato dalle fotografie, che restano il canale comunicativo più importante del progetto.
Andiamo avanti così, alzandoci molto presto la mattina, spostandoci nei vari punti a seconda delle condizioni atmosferiche, cercando di prevedere le migliori possibilità allo scopo di sfruttare al meglio ogni buona occasione per le riprese.
Il tempo è variabile, tendente al perturbato, non manca la pioggia, ma in compenso nuvole imponenti appaiono in cielo regalandoci ogni tanto spettacoli di grande suggestione.





Domani è l’ultimo giorno di permanenza della troupe, le previsioni parlano di condizioni più stabili ed allora suggerisco di spostarci dal Piano Grande verso le vette per documentare un aspetto diverso, non certo secondario, del paesaggio montuoso del parco nazionale. Perciò sveglia alle due di notte, veloce colazione e poi via, verso gli oltre 2000 metri di un bel punto panoramico. L’accordo è che sarò io a svegliarmi e che si partirà solo se le condizioni atmosferiche lo consentiranno. 
Alle due il cielo è stellato, un leggero strato di nebbia aleggia sul Piano Grande. In breve tempo, ci ritroviamo tutti a consumare in piedi una rapida colazione, preparata la sera precedente, nell’ingresso dell’agriturismo. Volti assonnati, poche parole, ma dopo pochi minuti siamo pronti per la partenza.
La salita notturna inizia intorno alle tre, è dura ma si svolge senza problemi. Temevamo i cani di un pastore lungo il sentiero ma l'incontro non c'è stato, il gregge non è ancora salito in quota. 
Quando alla fine arriviamo in cima abbiamo rispettato i tempi, anzi siamo anche un po' in anticipo. 
Sudati per lo sforzo, vorremmo cambiare gli indumenti zuppi ma è non è facile. Tira un vento vivace e teso da est e fa veramente freddo, la neve residua è dura sotto gli scarponi. Qualche coraggioso sfida le intemperie rimanendo a torso nudo per  il tempo (interminabile) necessario ad indossare le magliette asciutte, io rinuncio. 
Imbacuccati alla meglio in attesa dell’alba, cerchiamo di trovare un riparo che ci protegga almeno un po' dalle raffiche. Il tempo passa in fretta e lo spettacolo che di lì a poco si svolge sotto i nostri occhi ci rapisce e ripaga alla grande del sonno mancato e della fatica della salita.





Le nubi basse e compatte che prima coprivano immobili tutto il versante marchigiano, ora si stanno alzando e, sospinte dal vento forte, cominciano ad infilarsi, leggere e impalpabili, nei valichi e sulle creste seguendo i sentieri capricciosi e imprevedibili delle correnti.




Nel frattempo la luce dell’alba inizia a rosseggiare sopra  il soffice  strato in caotico movimento, creando un bel contrasto tra i colori caldi e la tinta azzurrina delle nuvole. 
Ci scambiamo commenti entusiasti, non potevamo aspettarci di più: la forza creativa della natura ha deciso di mostrarsi con uno dei suoi volti più impressionanti, in grado di trasformare radicalmente il paesaggio in un battibaleno e noi siamo spettatori privilegiati. 
Scatto con la trepidazione dei momenti migliori, attento a piazzare bene il treppiede per resistere alla forza del vento e ad eliminare la condensa che sempre più tende ad accumularsi su filtri e obiettivi. Il freddo si fa sentire e sto perdendo sensibilità alle dita, ho commesso l’errore di dimenticare i guanti!
Mentre scatto avverto appena la presenza di Bruno, il video-operatore, che mi riprende da lontano, concentrato come sono sulle foto. 




Dopo un’ora e mezza di permanenza in quota e qualche foto finale di gruppo con volti sorridenti torniamo a valle, portandoci dentro la bella esperienza vissuta insieme.
Le nuvole hanno ormai definitivamente conquistato anche la nostra vetta, cancellando completamente  il paesaggio.



Luciano Gaudenzio - Carnia, cuore verde del Friuli Venezia Giulia - Parte prima

C’è un giovane raggio di sole che ad ogni alba scrive i contorni di queste cime poi, indomito, gioca tra le rughe degli scalatori e scivola via lontano.
Quassù le stelle bruciano di luce più vera, quassù tutti vengono a cercare qualcosa o qualcuno, quassù la vita cresce come crescono i fili d’erba.
Qui il bosco ancora respira e racconta storie di uomini e alberi, di nidi e vento.
Si sale tra la brina e l’aurora lasciandosi il futuro alle spalle.           
Si incontrano mani che sfiorano il legno e sguardi antichi che il tempo non ha ingannato.
Ci sono mestieri dal ritmo lento come armoniosi intarsi e l’atavica gioia dell’attesa.                                      
Civiltà che fugge il tramonto nel sogno dell’alba.


Una casera nel cuore del bosco, Trava
Inizio a raccontarvi questa mia missione attraverso la magnifica poesia di Giacomo Buliani e proponendovi un'immagine che, secondo me, racconta tantissimo la Carnia, la regione montuosa più importante del Friuli Venezia Giulia.

Non abito in Carnia. Vivo lontano da questi luoghi quasi due ore di auto, ma in due momenti distinti della mia vita, questa terra ha giocato un ruolo importantissimo. Da bambino ho passato qui estati stupende, ospitato nella casa del mio migliore amico di allora. Momenti di compagnia. Momenti di gioco, quasi sempre all'aperto, sui sentieri che salivano alle casere, incastonate tra boschi fitti e quasi impenetrabili, dove i funghi crescevano abbondanti. Un divertimento pazzesco per noi bambini cercarli!
Poi, da adulto, sono tornato. Per tre anni. Raccontando e cercando di far conoscere la Carnia attraverso le immagini. Un'esperienza condivisa con altri due amici fotografi, Paolo e Gabriele e che è sfociata nel libro "Carnia, confine tra cielo e terra"  di cui la poesia è l'introduzione iniziale al volume.

Ecco, per la terza volta, si presenta nuovamente la possibilità di visitare questi luoghi, questa volta attraverso l'impegno del nostro progetto. Ci torno volentieri e ho un'idea fissa che voglio cercare di realizzare.
C'è un pezzo della poesia, più del resto, che racconta e descrive la Carnia...."Qui il bosco ancora respira e racconta storie di uomini e alberi, di nidi e vento...." Si, voglio iniziare a raccontare per immagini la Carnia partendo proprio dove ho imparato a riconoscere il bosco e i suoi silenzi, il bosco che respira. Le risate e il divertimento di noi bambini. C'è una coincidenza poi che fa "tornare" tutto. Il regista televisivo che  fin dal primo momento ha creduto nel progetto Altro Versante e che condurrà le riprese sul campo, Marco Rossitti, è il fratello maggiore del mio migliore amico di allora.

Con Marco, partiamo alla volta di Trava, la piccola frazione carnica, dove alloggeremo per alcuni giorni.
La casa è sempre la stessa. Anche se sono passati più di 30 anni, riconosco gli odori, le luci che entrano nelle stanze, anche il calore che emana la stufa è lo stesso.
Con noi c'è anche Bruno che, assieme a Marco si occuperanno delle riprese video, e dove un pò, noi fotografi, saremo gli involontari protagonisti di un film che, a dir la verità, si racconterebbe benissimo da solo.
Io e Marco non abbiamo dubbi su dove iniziare a fare le prime immagini.
Il bosco e i suoi straripanti verdi che lo caratterizzano in questa stagione sarà il nostro attore principale.
Svegliati di mattina molto presto ci dirigiamo verso la parte alta del paese servita da una vecchia mulattiera, ora strada percorribile, ma molto, molto stretta. Parcheggiamo la macchina e ci incamminiamo lungo uno dei tanti sentieri che entrano nel bosco "che respira". Il paesaggio non è cambiato molto rispetto a tanti anni prima. E' vero, le zone a pascolo attorno alle casere si sono ristrette. Il bosco lentamente ma inesorabilmente riconquista quello che un tempo gli fu tolto.
Camminare qui mette serenità. E' un mondo antico. Di pace. Mi fa tornare bambino. I primi scatti di questa missione non sono propriamente "naturalistici", ma raccontano del millenario rapporto tra l'uomo e Natura. Raccontano le caratteristiche di questo territorio, un vero e proprio cuore verde nel centro della nostra Regione, da far conoscere e tutelare.
La luce morbida del mattino diventa più intensa. Proprio al limite delle radure lo sguardo cade ipnotico verso un giallo intenso. E' il maggiociondolo che in questa stagione è in piena fioritura.
Maggiociondolo in controluce
Ancora le tipiche casere dei boschi carnici
Ora, abbondante, la luce si insinua tra i rami di questo elegante arbusto.
Ci giro attorno e decido di fotografarlo in controluce. Solo così forse riuscirò a metterne in evidenza le gocce di rugiada che ancora lo appesantiscono. Devo essere veloce. Il sole asciugherà tutto nel giro di pochissimo, quindi piazzo il cavalletto, cerco una composizione piacevole e guardo il risultato nel visore della macchina.
Alzo la testa per cercare altre immagini, ma il sole, spostandosi, non crea più l'effetto che tanto mi era piaciuto pochi istanti prima.
Anche i prati attorno alle casere sono una vera esplosione di colori: dal giallo dei ranuncoli al porpora delle orchis morio e tantissime altre specie. Un ultimo scatto a due casere e decidiamo di ritornare.
Ad entrambi è venuta una gran fame!

Nel pomeriggio il tempo peggiora. A tratti piove intensamente. Riuniti attorno ad una cartina distesa sul tavolo decidiamo cosa fare.
Il cielo è di un bianco latte molto luminoso. Di fare paesaggio non se ne parla. Acqua. Questa è la soluzione. L'acqua per essere ripresa ha bisogno di giornate luminose dove la luce arriva incidente, non diretta. Solo così si riesce ad enfatizzarne colori, trasparenze e vegetazione che rigogliosa cresce nelle vicinanze.
Prendiamo la strada che da Trava scende verso Villa Santina. Da qui, la cascata della Plera, nella frazione di Invillino, è vicinissima.
Parcheggiata la macchina ci incamminiamo lungo un sentiero costeggiato da un lussuregiante bosco di pino nero e in pochi minuti arriviamo alla cascata. Le condizioni sono perfette! Vegetazione dalle mille tonalità e sfumature di verde e acqua abbondante.
La Cascata della Plera, Invillino
Sono affascinato dalla bellezza misteriosa di questo posto. Dopo essere passato da un lato all'altro della cascata decido di riprenderla sul versante destro, mettendo in evidenza i muschi e le felci che, abbondanti, crescono sulla parete umida, solcata da mille evanescenti rivoletti d'acqua. Nel momento di massima concentrazione sono richiamato all'ordine da Marco e Bruno. Fotografare in compagnia è bellissimo. Ma i fotografi, usualmente, sono animali solitari. Soprattutto quelli naturalisti. Si muovono lenti in Natura. Ne ascoltano i silenzi. Cercano anche di interpretarli. Il loro sguardo è sempre alla ricerca della luce, della composizione equilibrata. Dell'ordine e del disordine. Concentrazione. 
Non sono abituato a "Luciano, spostati un pò più a destra.....attenzione! il riflesso nell'acqua!.... mmmh, hai una posizione troppo innaturale, sciolto, sciolto! 
AIUTO!
E' solo un attimo. Marco e Bruno si muovono bene. Anche loro sono delle persone interessate ed appassionate e sanno fare bene il loro mestiere. L'Altroversante, poi, è un progetto multimediale e tutti sappiamo benissimo che è nato attorno ad un concetto di fotografia ma il video sarà importantissimo.  Darà azione e movimento a tutti i soggetti che andremo a riprendere. Una sicura maggiore visibilità.
Finito questi momenti di "passione" torno alla cascata. Una volta adempiuti i miei doveri di improvvisato attore posso dedicare maggiore attenzione al mio soggetto.
Quando non so come muovermi, inizio a guardare. A frugare ogni possibile spazio che ho attorno.
Alle volte succede il miracolo. C'è l'illuminazione. Altre, nonostante gli sforzi, non succede nulla. Anche se realizzo qualche scatto  so in cuor mio che sarà solo un file che occuperà lo spazio dei miei infiniti archivi.
Non è proprio un miracolo, anzi, in questo caso, era la composizione più ovvia, ma proprio non ero riuscito a vederla. Mi sposto sul lato sinistro della cascata e utilizzo un classicissimo primo piano di fiori spontanei.
La cosa più difficile è riuscire a trovare il giusto equilibrio tra la grandezza dei fiori, ripresi nel loro insieme, e la visibilità della cascata sullo sfondo.
Anche la messa a fuoco non è semplice. Avvicinandomi alla giusta distanza rischio di non avere la sufficiente profondità di campo per avere tutti gli elementi a fuoco. Per fortuna che c'è lui! Il mio amatissimo 24 decentrabile. Pochi movimenti sulle ghiere dell'obiettivo per bascularlo quanto basta e vualà. Anche dal lato tecnico l'immagine è risolta.
Ancora qualche controllo per vedere se è tutto ok....CLICK!

Soddisfatti ripercorriamo il sentiero già parlando della giornata di domani. Ci alzeremo alle 2.00 mattina. Nonostante sia maggio inoltrato troveremo tanta, tanta neve. Farà freddo....ma tutto questo ve lo racconto nella prossima puntata... :)