Maurizio Biancarelli - La Valle dei Calanchi un mondo in continua trasformazione, Lazio




Simili a bacini idrografici in miniatura, con valli principali, creste e valli laterali, i calanchi sono fantastiche forme di erosione. 
Nella foto sotto “La cattedrale”,  la più spettacolare formazione d’argilla della Valle come si presentava diversi anni orsono, ora una parte è crollata e il suo aspetto è leggermente cambiato.




5 maggio 2014

Il tempo promette bene per domani mattina, almeno così fa sperare il cielo sereno e quella  linea rossa all’orizzonte, sospesa sopra i calanchi che, dal punto in cui mi trovo, posso solo immaginare, nascosti come sono da rilievi boscosi. 
Sono appena arrivato a Lubriano, in alta Tuscia, è sera tarda, mi sto preparando per raggiungere domattina un bel punto panoramico che qui chiamano il Pianale. 
Si tratta di una specie di terrazza naturale sorretta da rocce tufacee sulla cui sommità allargano le proprie chiome al cielo alcune verdi roverelle. La visione tutt’attorno è una delle migliori sulla Valle dei Calanchi, ma raggiungerlo non è facile. 
Bisogna attraversare una stretta vallata secondaria praticamente senza sentiero e nascosta da una vegetazione fitta e spinosa. Un vero eden per i cinghiali, non certo per me che devo attraversarla di notte. L’ho fatto più volte anni or sono, ma ora non sono tanto sicuro di riuscire a districarmi nell’intrico della vegetazione alla ricerca della giusta direzione e per di più col solo aiuto della lampada frontale. 
La vista dal Pianale è però una delle più belle e voglio tentare lo stesso. Rimetto la sveglia molto presto calcolando almeno un’ora di cammino.



6 maggio 2014

E’ andata meglio del previsto. Nonostante il fango, il percorso fino al punto panoramico è stato fluido e soprattutto non ho avuto incertezze nel trovare la giusta direzione. La vegetazione è molto alta sul Pianale, l’erba arriva quasi alla pancia mentre il primo chiarore dell’alba accarezza i profili affilati dei calanchi. 
La vallata è tutta sotto di me, cerco le giuste inquadrature spostandomi sul perimetro della terrazza. Le erbe più alte in primo piano sono fradicie per la rugiada, le scosto e faccio attenzione ad evitare nel mirino gli arbusti che sporgono verso il vuoto, ma non è facile: lo spazio è ristretto e il rischio di fare un passo falso o far rotolare il terreno d’appoggio molto alto. 
Rimpiango in cuor mio la mancanza di un po' di nebbia in basso e magari di qualche bella nuvola in più nel cielo. Si sa, i fotografi non sono mai soddisfatti! 
L’aria è però limpida, i contorni dei rilevi lontani nitidi. Cerco la giusta inquadratura per inserire in primo piano una linea di rossi papaveri in controluce, sfruttandoli come cornice alla fotografia.
Il tempo scorre mentre scatto e mi sposto, godendo del primo tepore che sta arrivando. La luce avanza, tinge di un rosa carico le creste d’argilla mentre Civita di Bagnoregio, dal suo torrione tufaceo si eleva sopra l’orizzonte e domina austera la valle dall’alto. 
Il ciclo del giorno si ripete, tutto sembra immutabile, ma è solo un’impressione. La Valle è un mondo effimero dove la natura mostra, in tempi per una volta molto rapidi, come tutto cambia, crolla, si sgretola davanti ai nostri occhi sotto la spinta incessante delle forze dell’erosione. 





7 maggio 2014

Stamattina vorrei cambiare prospettiva e salgo verso una posizione dalla quale i calanchi appaiono in controluce. Appena arrivato rimango sorpreso, nuvole basse spinte da un vento meridionale, si stanno addensando compatte subito sopra ai rilievi della vallata. Prima sottili e discrete, diventano sempre più dense mano a mano che i minuti passano e, alla fine, creano una barriera grigio-bluastra che, spostandosi, comincia a lambire le creste dei calanchi. E’ presto e la luce è ancora fioca, ma la contemporanea presenza di soffici nuvole alte fa ben sperare per un’ alba interessante. E pensare che le previsioni ieri parlavano di tempo stabile, ma va benissimo così e aspetto speranzoso di vedere cosa succederà. 
Faccio solo qualche scatto con tempi molto lunghi alle nuvole bluastre che stanno cambiando il paesaggio e poi, col passare dei minuti, qualcosa succede davvero. Le alte  nuvole sfilacciate iniziano a tingersi di rosso e nella mezz’ora successiva il cielo si colora con tinte forti. Come il mio spirito. 
Ci siamo, e’ una di quelle situazioni in cui la perturbazione in arrivo regala opportunità tanto attese quanto inaspettate. Ed è un piacere scattare. Emozionato e concentrato, continuo a fotografare controllando i risultati nel monitor. Forse tra breve il tempo cambierà, quelle pennellate di colore nel cielo sono di sicuro foriere di pioggia, ma niente può preoccuparmi di meno in questo momento.
Quando la gocce iniziano a scendere davvero torno con animo leggero verso il comfort del camper. La mattinata è stata produttiva.








8 maggio 2014

Anche oggi lunga camminata antelucana. Un altro punto panoramico, altra prospettiva. Quando arrivo è ancora fresco e, come sempre, praticamente buio. Appoggio lo zaino a terra e aspetto, osservando le luci lontane dei villaggi e controllando la massa di nuvole scure che stanno all’orizzonte a levante. Chissà se la prima luce del sole riuscirà a crearsi un varco. Magari avrò una luce spot sul paesaggio, non sarebbe male per niente. Spira un venticello che acuisce la sensazione di freddo, tiro su il cappuccio e cerco di scaldarmi un po' muovendomi nello spazio angusto concesso dalla ripida parete argillosa. 
Il rumore d’ali arriva improvviso, sulla sinistra. E’ rapido e netto, secco. Mi giro e non credo ai miei occhi quando vedo un grande rapace appena posato sul ramo morto di una piccola quercia abbarbicata a strapiombo sulla parete, a sei, sette metri da me. La sagoma è quella di un pellegrino, ma è molto chiaro, direi un po' sbiadito ed allora, incredulo, penso di essere a pochi metri da un lanario. Non so cosa fare. Resisto alla tentazione  di abbassarmi ad aprire lo zaino per prendere la macchina fotografica, ma non penso neanche a scattare col telefonino, così, tanto per avere una memoria dell’incontro. 
Rimaniamo fermi per qualche minuto, a pochi metri uno dall’altro. L’uccello è di spalle, guarda nel versante opposto -un’occhiata a destra e una a sinistra-, a un tratto scuote le piume arruffandole, sembra non essersi accorto di nulla. Lo guardo di traverso da sotto il cappuccio della giacca, attento a non muovermi troppo. Dopo minuti interminabili l’incanto finisce. Finalmente accortosi dell’intruso, l’uccello vola via scivolando nella penombra, sparisce alla vista inghiottito dall’oscurità e mi lascia ad aspettare l’alba piacevolmente sorpreso e un po' inebetito.


















Bruno D'Amicis - Campo Felice, Parco Naturale Regionale Sirente – Velino, Abruzzo - Una mattina fortunata




















31 Maggio: uno sguardo indietro...

La sveglia squilla sempre troppo presto, ma, stavolta, per la mia missione devo arrivare dietro l'angolo. La Piana di Campo Felice nel Parco Naturale – Regionale Sirente – Velino, è in Abruzzo sì, ma a un tiro di schioppo dai confini laziali ed è un po' come se fosse montagna di Roma... Se ad un Romano chiedi, infatti, di Campo Felice questi ti risponderà parlandoti di sci, impianti di risalita, cioccolata calda nei bar, parcheggi stracolmi nei finesettimana e la coda interminabile al rientro in città. Ma non di uno stupendo altipiano carsico, circondato da imponenti montagne e belle foreste di faggio (percorse da lupi, cervi e, talvolta, orsi!), ma soprattutto impreziosito da una flora ricchissima e ancora poco conosciuta. E questo malinteso è stata la vera sfortuna di Campo Felice. A partire dagli anni '60 con la costruzione degli impianti da sci o ancor prima con le miniere di bauxite e sino ad arrivare all'inaugurazione del tunnel di Serralunga nel 2012, questa piana ha visto sbancamenti, scavi, tagli, colate di cemento e di asfalto, discariche abusive di materiali di risulta e chimici, sovrapascolo e tante altre "amenità", che però in qualche modo non ne hanno domato del tutto lo spirito, ancora selvaggio, né cancellato il fragile valore naturalistico.

Ieri sera ha piovuto di brutto e stamattina quindi spero nella nebbia, che renda il paesaggio più dinamico, poiché il laghetto che di solito riempie la piana al disgelo, quest'anno... non c'é. Mi sento abbastanza fiducioso e questo è perché conosco bene il luogo dove sto andando: il vantaggio di giocare in casa!
Neanche mezzora di guida e ho già superato l'uscita di Torninmparte e sto risalendo la tortuosa strada che porta alla piana. Quello che in inverno è un collo di bottiglia per gli sciatori che arrivano da Roma, ora sembra il percorso di una pubblicità per automobili. Alla mia destra, cresce alla vista il Massiccio del Velino con le montagne della Duchessa, a sinistra la mole del Gran Sasso chiude la visuale come un'ultima frontiera. Ancora una curva e, tac!, nebbia fu. Nebbia fitta, nebbia densa, da 40Km/h per intenderci... Guido piano e cerco di immaginare come sarà nel punto prescelto per le riprese. La strada riscende piano piano e arrivo all'orrida e inutilmente monumentale rotatoria costruita per unire le strade che arrivano da Torninparte, Lucoli e Rocca di Cambio, attraverso il famigerato tunnel appunto...
Mi affido alla saggezza di Virgilio e non mi curo di loro, ma guardo e passo, andando ad imboccare una sterrata che punta dritta alle montagne. Il cielo inizia a prendere colore. Mi fermo vicino ad una serie di doline, cercando un'inquadratura che metta in risalto questo tipico fenomeno carsico, con le montagne di sfondo. Scelgo un punto e piazzo la macchina sul treppiedi. Seleziono l'esposizione e scatto, ma non sono soddisfatto e mi abbasso un po'. Niente, riprovo più a destra. Giro e rigiro, ma non mi convince... E penso al punto in cui avevo dapprima incontrato la nebbia, dove so che la faggeta orla la piana. Salto in auto e rifaccio un paio di chilometri a ritroso, perdendomi gran parte dei colori dell'aurora. Ma appena arrivo, capisco di aver fatto la scelta giusta.
Il sole ha raggiunto le cime, mentre il fondo della valle è interamente coperto di una nebbia azzurrina che sembra sostituire il lago. E' solo questione di trovare la giusta inquadratura tra gli alberi, verdissimi in questi giorni di primavera, e la nebbia cilestrina: le foto vengono da sole.


Già soddisfatto, dopo i primi scatti, mi tuffo euforico in questa abbuffata visiva. Il sole e la nebbia giocano a rincorrersi e creano tante combinazioni. E' però quando la luce raggiunge il limite della faggeta, illuminando gli alberi di toni caldi, mentre la nebbia in ombra si satura di blu che capisco di avere davanti un qualcosa di veramente speciale. Avrei già finito per questa mattina, ma quando il sole invade tutta la Piana, ho voglia di riscaldarmi e, perché no, magari fotografando quell'angoletto dove so che crescono le belle fritillarie...