Luciano Gaudenzio - Lo scrigno delle nebbie alpine, l'incantata Foresta del Cansiglio

Ho pensato per molto tempo da dove potevo iniziare questo fantastico progetto che mi vede orgogliosamente impegnato per cercare di dare alla montagna italiana la visibilità che merita.
Molti pensano che fare il professionista della fotografia sia un continuo girovagare per il mondo, divertendosi a più non posso perchè viaggiare è affascinante, libera ed amplia le proprie vedute, emoziona e appaga.  Ma per quanto lungo possa essere questo "euforico" periodo, esiste un momento in cui si torna e, in ufficio,  si deve necessariamente lavorare alle proprie immagini, archiviarle, didascalizzarle, proporle ai clienti e a quelli potenziali, un lavoro incredibilmente lungo, faticoso, stressante....ed è proprio in questo difficile momento che sto prendendo questa decisione, da dove inizio? Discutendo di fotografia con amici appassionati o colleghi, molto spesso ci siamo detti come, dopo tanto tempo, anche mesi, passati a non fotografare, sia difficile ritornare a farlo. Fotografare richiede allenamento. La mente, gli occhi dopo lunghi periodi di astinenza, non sono più abituati a vedere, osservare, scovare i dettagli. Ecco perchè molti appassionati, che praticano la fotografia nel solo tempo libero, molto spesso fanno fatica a fare un salto di qualità, soprattutto quando si tratta di documentare in modo completo ed organico un determinato luogo, paesaggio o specie. Il singolo scatto, (quello che comunemente viene chiamato "da concorso"), magari salta fuori, realizzare un reportage completo è invece più complicato e difficile, specie dopo un lungo periodo di buio ufficio, da dove inizio?
Poi, nella nebbia di tante indecisioni, si accende un faro che lentamente la dissolve. Un luogo a cui sono emozionalmente legato e che da sempre mi aiuta a ritrovare me stesso. Un luogo vicino a dove abito e che è stata la mia vera "palestra" fotografica. Un altopiano carsico abbracciato da una foresta millenaria. Più in basso gli abeti bianchi, in alto i faggi. Una curiosità vegetazionale dovuta al fatto che l'aria fredda ristagna nella parte più bassa dell'altopiano, mentre in alto è più mite. Un altopiano dominato immancabilmente dalla nebbia, che permane tutta la notte per poi dissolversi solo con il calore del sole, quando questo è gia molto alto sull'orizzonte.
Inizio da qui, questa avventura, anche perchè voglio mettermi alla prova, voglio cercare di trasmettere quella che è la vera anima di questo luogo. Poche parole, che faticano a descrivere il Cansiglio.

La nebbia che, alle prime luci del mattino, ancora invade la parte alta della foresta dominata da faggi secolari
Sono convinto che il mio viaggio, il mio Altroversante, debba iniziare da qui. Dalla nebbia che cela, come uno scrigno, le meraviglie di questo altopiano.
Pianifico la giornata in modo puntiglioso. Parto presto da casa. Budoia, il paesino dove abito, è ai piedi dell'altopiano, una ventina di minuti di macchina e sono già sul posto. Il bosco è perfetto, le gemme sembrano esplodere da tanto sono gonfie di verde. Su tutto permea un sottile strato di nebbia che fa intuire, più che vedere.
Pochi scatti alla ricerca di forme grafiche, di colori sfumati, poi via, veloce verso il basso, laddove le nebbie sono ancora più consistenti.
Arrivo e come ci fosse un pilota automatico, imbocco una stradina laterale  e mi porto in una posizione leggermente sopraelevata rispetto all'altopiano. Fa freddo. Molto per la stagione. Siamo a maggio e c'è appena 1°. Piazzo il mio amico fidato, lui si che è sempre al mio fianco, parlo del cavalletto eh! e compongo l'immagine. E' un attimo, uno strappo nella coperta bianco-grigia, i colori della nebbia.
Ci saranno altre occasioni per riprendere la piana del Cansiglio, oggi però, ho un'altra meta, voglio cercare di fare conoscere l'anima di questo luogo e dove cercarla se non nel posto più misterioso di questo altopiano? Mi infilo di nuovo in macchina, riprendo la strada principale che taglia in modo lineare l'altopiano e dopo pochi chilometri, volto a destra seguendo le indicazioni per la Val Menera. Poco prima dell'omonimo agriturismo, in prossimità del parcheggio del caseificio, lascio la macchina e mi incammino verso la mia destinazione, la Val Scura. Lascio alla vostra immaginazione il perchè del suo nome...

In prossimità dell'ultima casera, adibita a stalla, sento dei rumori, dapprima lontani, poi sempre più incalzanti. Conosco l'ambiente e so che animali lo possono abitare. Ma non vedere, percepire solamente, fa temere, fa riemergere antiche paure umane. Improvvisamente, nella nebbia a pochi metri da me,  si materializzano come fantasmi, una cerva ed il suo piccolo. Corrono trasversalmente lungo il pascolo. Pochi scatti, cercando di inseguire il movimento degli animali. C'è poca luce, i tempi sono lenti e l'unica possibilità che ho, è quella di realizzare un panning.
Il risultato, come spesso succede ricorrendo a questa tecnica, non è perfetto, ma, come scoprirò successivamente davanti al pc, restituisce pienamente il momento che ho vissuto. Pochi passi e sento, questa volta molto più forti, dei rumori dinnanzi a me. Sulla mia sinistra c'è un recinto. Cauto, avanzo lentamente, convinto di vedere dei cavalli o forse delle pecore. Invece no. Dalla nebbia, appare un gruppo di cerve, impaurite anche loro dal fatto di sentire e non vedere. In questo caso, sono io a rappresentare il mistero.
Mi fermo, quasi per tranquillizzarle e mi accovaccio lentamente, facendo loro qualche scatto.


E' un momento intenso, un incrocio di sguardi che sembra durare un'infinità. Le cerve, ora tranquille, si allontanano, trotterellando verso il basso.
Le seguo camminando lentamente. Più mi abbasso verso la depressione della Val Menera, per poi addentrarmi nella Val Scura, più la nebbia si infittisce.
La grande piana, che si apre ora davanti ai miei occhi è verdissima.
Questa depressione, in autunno contesa dai più poderosi maschi di cervo dell'intero altopiano, è ora tranquilla. Un paesaggio bucolico, dove le protagoniste assolute sono ancora loro. Le cerve che avevo sorpreso pochi minuti prima si sono ora riunite ad altre femmine e piccoli e stanno placidamente pascolando. Pochi scatti e vado verso la mia destinazione finale.
Una palizzata di secolari abeti bianchi, si erge a proteggere l'ingresso della Val Scura. Voglio enfatizzarne colori e forme, e la riprendo, impostando un tempo lento e muovendo la macchina dolcemente, cercando di non avere esitazioni.

I secolari abeti bianchi della Val Scura
Finalmente entro nel bosco. Pochi passi e intravedo la mia meta, il soggetto dei miei prossimi scatti. Un giovane bosco di faggi cresciuto all'ombra di secolari abeti bianchi. Un paesaggio suggestivo, nella penombra della nebbia. Non vi nascondo che avevo già in testa, le immagini che avrei voluto ottenere.

I giovani faggi della Val Scura - Pian Cansiglio crescono all'ombra dei "giganti bianchi"
Nel folto del bosco, vista anche l'ora, la nebbia si è lentamente dissolta. Guardo verso l'alto e mi accorgo che non è scomparsa. E' solo più alta. A quasi 50 metri di altezza, le "teste" dei giganti bianchi ancora la respirano. Sono affascinato, penso che raccontare questa scena valga la giornata. Mi distendo, su un tappeto umido di muschio, quà e là vivacizzato dalla delicata acetosella.
Punto il 14 mm verso il cielo. In primo piano, le fronde di un giovane faggio, oltre, la volta formata dagli abeti bianchi che svettano verso il cielo ancora denso di nebbie.
Guardo il risultato sul display e sono contento. Spero anche che riesca a trasmettere tutto il fascino nascosto di questo luogo.

Un giovane faggio si slancia verso la volta dei giganti bianchi della Val Scura. Sopra di loro un cielo ancora denso di nebbie
Sulla via del ritorno, uscendo dal folto della Val Scura, noto che le cerve ancora pascolano tranquille con i loro piccoli.





Bruno D'Amicis - Parco Nazionale dell'Alta Murgia, Puglia

29 Marzo 2014. Notte sulla Murgia.

L’Alta Murgia, un nome che ha in sé già sapore di Balcani e di cavalcate a fianco di Federico II. Parco Nazionale da appena dieci anni e antichissimo altipiano calcareo pieno di storie e segreti. Per me la Murgia è un po’ tornare al ventre materno: la mia mamma, infatti, è di quelle parti e io, sin da piccolo, ho potuto visitare le steppe spazzate dal vento di quest’Irlanda mediterranea. Come l’Irlanda, questo angolo di Puglia a primavera è una terra verde: di erbe, di prime foglie e del grano tenero. Ma questo, però, è solo un abbaglio. Qui, infatti, da giugno in poi il sole non scherza e tutto si tinge di toni che vanno dal marrone scuro della terra al giallo pallido delle erbe riarse. 







Scendendo lungo l'autostrada Adriatica dall’Abruzzo e dopo essermi lasciato alle spalle il Gargano e la devastazione eolica del Tavoliere, giro per Spinazzola e, subito, Castel del Monte, la misteriosa fortezza ottagonale degli Hohenstaufen, mi appare candido all’orizzonte: l’inizio dell’altipiano delle Murge. Terra di asfodeli, pietre bucate, popolazioni daune e peucete, minuscole orchidee e tanti rapaci. Nei muretti a secco si nascondono rettili mitici come il colubro leopardino e il geco di Kotschy; da sotto i massi escono creature aliene come la scolopendra cingolata (che sembra un pupazzo di gomma, ma il cui morso farebbe rabbrividire una vipera) e la malmignatta. Contro il cielo, decine, anzi centinaia di falchi grillai volano in surplace a caccia di cavallette e grilli prima di rientrare alle loro colonie situate, guarda un po’, nei centri storici dei comuni della zona, come Altamura, Gravina in Puglia e Matera. Corvi imperiali, nibbi e poiane si affrontano in caroselli aerei. Rari tulipani selvatici gialli punteggiano i prati tra le decine di meravigliose masserie e jazzi abbandonati: silenziose icone di un fiorente passato legato alla pastorizia e alla transumanza oramai scomparso e che, ad essere sinceri, mettono un po' a disagio.

La mia meta di oggi, la rocca del Garagnone vicino Poggiorsini: una rupe che nel Medioevo fu fortificata, talmente bene che si fa fatica a vedere le mura. Abbandono la statale e prendo una stradina di campagna, tutta buche e strillozzi in canto. Ogni tanto, una piantina rompe le pezze di asfalto messe a livellare il fondo stradale o bisogna rallentare per far passare una cappellaccia indaffarata. Asfodeli bianchi e gialli, ferule, calandri, peri selvatici e tracce di cinghiali. I colori sono talmente accesi da sembrare creati con Photoshop. Anche le immagini riviste sul LCD della fotocamera sembrano alquanto improbabili. Mi avvicino alla piccola gola sovrastata dalla rocca. Silenzio e solitudine.

Parcheggio e mi arrampico sul ripido pendio dirimpetto alla fortezza: è il tramonto. La grotta della rupe sembra la bocca di un animale preistorico. Rallento il passo. Mi avvicino all'antro è sono "attaccato" da una decina di piccioni torraioli che fuggono spaventati: mort..cci che colpo!
Entro nella grotta e, una volta superato il fastidio del guano dei suddetti piccioni, mi scelgo una posizione per fotografare la rocca di fronte. Passerò qui le prime ore della notte, sperando di cogliere la Via Lattea o qualche traiettoria stellare sopra questo sito così misterioso.

I grilli friniscono e lontano si sentono un paio di assioli in canto. Fa buio. La pianura verde e coltivata in lontananza diventa un manto nero pieno di luci di case e automobili. Alle mie spalle, invece, solo vento e tenebre. Manco a farlo apposta si accende una luce al neon proprio dietro la silhouette della rocca che mi accingo a fotografare: la luce automatica di una fattoria. Non c'é niente da fare, non si spegnerà e mi tocca fare delle vere contorsioni per poter escludere quel punto luminoso dall'inquadratura: alla faccia della wilderness! Sloggio due ragni giganti e uno scarafaggio e monto il treppiedi in obliquo su una delle pareti della grotta: dovrebbe andare. Premo il pulsante dello scatto remoto e parte la posa B...


Maurizio Biancarelli - Gole della Rossa e di Frasassi Cuore di roccia - terza parte -

Panoramica dell'ingresso roccioso di Valle Scappuccia
24 aprile 2014

Ha piovuto tutta la  notte precedente e anche stamattina continua. Il tempo scorre lento nel camper. 
Dopo aver dato una sistematina alle foto, ascoltato un pò la radio resta tanto tempo per leggere, ma ogni tanto dò un’occhiata attorno. C’è sempre qualche sorpresa, come la coppia di gheppi che nidifica in un vecchio casolare abbandonato, in una feritoia usata chissà quanto tempo fa dai piccioni.
Nel tardo pomeriggio finalmente il tempo migliora, decido di tentare e mi avvio verso la bella e solitaria Valle Scappuccia. Ho già fotografato il suo ingresso- una spettacolare volta rocciosa creata nel tempo dal torrente omonimo-, ora mi piacerebbe  farlo  dall’alto per avere una veduta d’insieme dei boschi che la ricoprono per tutta la sua estensione. 
Mentre cammino lungo il sentiero penso che, come sempre succede in Italia, questo parco non è certo pura wilderness. Una strada importante in fase di ampliamento e una linea ferroviaria intersecano la vallata principale e anche le ferite delle cave sulle pareti calcaree sono evidenti. Basta però allontanarsi solo un pò per ritrovare luoghi appartati dove il tempo sembra essersi fermato ed è ancora possibile ascoltare intatti i suoni e i silenzi della natura.
Tra tutti questi luoghi la mia preferenza va senza esitazione proprio alla Valle Scappuccia. 

Intanto avanzo e quando raggiungo il punto desiderato qualche provvidenziale raggio di sole si fa strada, anche se a fatica, tra i nuvoloni, regalandomi chiazze di luce sulle vallate e sui pendii boscosi, dove il verde scuro dei lecci contrasta piacevolmente col quello tenue di ornielli e querce. 
L’aria è limpida, il paesaggio si spinge fino alla catena dell’Appennino e l’atmosfera della foto mi piace, la sento vicina alla mia visione di questo luogo particolare, ameno e selvaggio allo stesso tempo.
Dopo aver fatto diversi scatti, mi giro verso una falesia non troppo lontana sulla mia sinistra e mi accorgo che un falco pellegrino se ne sta lì appollaiato. 
Nel binocolo lo vedo bene, è solido e compatto,  rivolto verso di me e mi sta osservando da chissà quanto tempo con l’aria di chi si sente sicuro e a casa propria.

Dopotutto non sono altro che un intruso, e, come tale,  meglio tenermi d’occhio.


La verde Valle Scappuccia 
27 aprile 2014

L’idea è di fotografare dalla vetta di monte Murano, da una prospettiva nuova per me. Per questo ho pernottato in quota, ma al risveglio le condizioni atmosferiche non sono quelle che mi auguravo, c’è troppo vento e foschia e allora decido di mettere in atto il piano B. 
Scendo perciò di quota verso fondovalle per vedere se le cose migliorano, vorrei sfruttare ogni possibilità. 
A dire il vero non sono troppo ottimista e siccome stamattina non ho nessuna voglia di preparare la colazione nel camper ho fatto già un pensierino su un bel cappuccino caldo al primo bar aperto. 
Proprio prima del paese però qualcosa succede davvero. Nuvole interessanti si stanno addensando sopra le Gole della Rossa e isolati banchi di nebbia si muovono lenti risalendo lungo gli affilati contorni rocciosi, scuri in controluce.
L’ora è ancora giusta, la luce promettente, l’umore sale di colpo. Scendo e comincio a scattare in quella che si sta rivelando una buona occasione inaspettata e, come tale,  da cogliere al volo. 
Passo quasi un’ora a fotografare, poi riprendo il mezzo e scendo a valle. 
Adesso il cappuccino è proprio meritato.


Banchi di nebbia sui profili affilati delle Gole della Rossa

Maurizio Biancarelli - Parco Regionale Gole della Rossa e di Frasassi Cuore di roccia - seconda parte -

3 aprile 2014

Il fiume Sentino e l’Esino sono i due corsi d’acqua limpida che attraversano il parco. Dopo un anno di forti precipitazioni sono gonfi e osservandoli ora si capisce molto bene come la forza di questo elemento abbia potuto, nel corso dei millenni, erodere il calcare creando il paesaggio che oggi ammiriamo.
Jacopo Angelini, presidente del WWF Marche, conosce ogni angolo del territorio e mi ha accompagnato per un lungo giro riferendomi che qui vivono tre coppie di merli acquaioli. Non male per un’area, che pur presentando l’aspetto di vere montagne, è situata a quote piuttosto basse e a poca distanza dal mare. 
Merlo acquaiolo Cinclus cinclus nel suo ambiente
Questi  piccoli uccelli, con la loro sola presenza, garantiscono la buona qualità dei torrenti e dei fiumi dove vivono. Abitano infatti le acque correnti e pulite dove abbondano gli insetti acquatici, che loro catturano anche tuffandosi e muovendosi  sott’acqua e tra i ciottoli del fondo con la disinvoltura di provetti sub. 
Ma altre presenze alate importanti trovano sulle pareti rocciose un habitat ideale: il raro falco lanario, l’aquila reale ed il falco pellegrino sono tra queste; in anni recenti è stato anche attivato con successo un progetto di reintroduzione del nibbio reale. 

La mattinata con Jacopo si sta rivelando molto positiva, è un piacere ascoltarlo mentre guido lentamente scoprendo vari angoli, uno più interessante dell’altro, in compagnia dei suoi due candidi, simpatici e irrequieti huskies, madre e figlia, che abbiamo sistemato nel retro della macchina dopo aver abbassato i due sedili posteriori. E a giudicare dalle loro reazioni sembra  che lo spazio abbiamo creato sia stato gradito.

10 aprile 2014

Anche oggi c’è nebbia a fondovalle e un bel cielo sereno sopra a rallegrare lo spirito. Questa mattina presto ho già fatto alcuni scatti alle Gole di Frasassi da punti favorevoli e, dopo aver girovagato un bel po' decido per una siesta e un caffè che cancelli il torpore dovuto all’alzataccia. Scelgo un punto alto della vallata, al di sopra della nebbia per godermi il sole primaverile e il suo tepore nel camper mentre preparo il caffè. 
Quando arrivo mi rendo conto che il luogo è perfetto anche per una foto, la vista spazia su una verde campagna ondulata circondata da rilievi. Sullo sfondo il massiccio dei monti Sibillini ancora innevato chiude l’immagine come meglio non potrei desiderare. 
Mi fa piacere scoprire un altro aspetto di questo parco, molto diverso da quello austero delle possenti pareti calcaree per le quali è meglio noto. 
Scendo subito dal furgone e scatto in fretta prima che i banchi di nebbia ancora presenti si dissolvano del tutto. Il caffè può aspettare.
La bella campagna attorno a Valle Scappuccia

14 aprile 2014

Da Rosenga risalgo la stradina sterrata che mi porterà fino in cima al monte Frasassi. Ho calcolato male i tempi e sono un po' in ritardo, la giornata si preannuncia limpida e serena. Nella luce del crepuscolo i lontani contorni dei rilievi dell’Appennino umbro marchigiano appaiono netti, uno strato di nebbia azzurrina e delicata indugia pigra su ogni vallata, gli uccelli iniziano ora il loro coro dell’alba. 
Affretto il passo, le condizioni sono giuste per quello che ho in mente e questo mi provoca un leggero stato di eccitazione e di ansia, non vorrei perdere tutto per arrivare solo qualche minuto troppo tardi. 
Ma sono in tempo quando raggiungo lo sperone roccioso. 
Il paesaggio sulle Gole della Rossa è molto bello, le case di Pierosara sbucano appena sopra sbuffi di nebbia. Preparo veloce treppiede e attrezzatura e comincio a fotografare prima che il sole sorga, poi mentre sale e infine quando fa capolino dietro la cima della montagna.
Ora posso rilassarmi un po', ma non è finita. Mi sposto verso il bordo delle falesie sopra la Gola di Frasassi e anche qui lo spettacolo della nebbia che circonda i rilievi mentre la prima luce del mattino inonda di giallo il paesaggio vale bene una prolungata sosta fotografica. 
Alla fine mi sento soddisfatto, mi godo l’aria fresca e profumata, il verde tenero della primavera e il volo di un falco pellegrino che si sposta veloce lungo le gole proprio sopra lo strato di nebbia.



Maurizio Biancarelli - Parco Regionale Gole della Rossa e di Frasassi Cuore di roccia - prima parte -

La luce rosa dell'alba si riflette all'interno di una cavità rocciosa

Il Parco regionale Gole della Rossa e di Frasassi, nelle Marche, rappresenta per me l’altro versante sotto diversi  punti di vista. Dal punto di vista fisico-geografico, perché quest’area è situata nel versante opposto dell’Appennino rispetto a quello umbro dove vivo e dal punto di vista vero e proprio del progetto L’Altro Versante. 
Ho infatti attraversato tante volte in macchina le vertiginose pareti calcaree  ammirandole e ripromettendomi di venire a fotografarle come meritavano, ma non l’ho mai fatto. Ci voleva proprio questo progetto per farmi decidere. E voglio iniziare proprio da qui, questa sarà la mia prima missione.
Vista la relativa vicinanza, ho pensato di fare prima qualche sopralluogo per avere un’idea della zona e poi di raggiungerlo nelle giornate con le condizioni atmosferiche più promettenti.

12 marzo 2014.

Erba vetriola Parietaria  officinalis all'ingresso di una grotta
Questa mattina ho fatto la mia prima escursione partendo dal paesino di Pierosara, poche case aggrappate alla cima di un rilievo, in posizione panoramica nel cuore del parco. 
Con la carta e le informazioni ricevute con piacere presso il centro visite  dallo stesso direttore del parco Massimiliano Scotti, che si è subito interessato ed ha molto apprezzato il progetto, vado verso il Foro degli Occhialoni e la grotta di Mezzogiorno. 
Il sentiero è piacevole ed io sono euforico e curioso. 
In poco più di mezz’ora sono sul posto: grotte, cavità, sculture di varia foggia nel possente calcare candido. L’erosione ha creato un mondo tormentato, sorprendente e ricco, che culmina nelle famose, spettacolari grotte di Frasassi ben note a migliaia di turisti. 
Ma le meraviglie carsiche sono dislocate un pò dovunque e scoprirle lontano dalla folla ha un sapore diverso, almeno per me.
Mi colpisce, vicino all’ingresso di una delle grotte la presenza di erba vetriola Parietaria officinalis. Non è certo una rarità, anzi e’ una specie diffusa in ambienti ombrosi e ricchi di azoto, ma qui i piccoli cespugli sono disposti in belle file regolari lungo le ondulazioni del terreno, ed è verdissima vista in controluce. 
Decido subito che vale la pena di fare qualche scatto e, alla fine, passo parecchio tempo a cercare il giusto punto di ripresa. 
Mentre torno indietro rifletto sulle potenzialità del luogo, che mi ha affascinato e decido di tornare una mattina molto presto per sfruttare la prima luce dell’alba.

Uno sguardo inquietante. Cavità nella roccia calcarea

21 marzo 2014

La sveglia suona alle quattro di mattina. Ho dormito nel camper a Pierosara, un bel sonno lungo favorito da un silenzio divino, ma prima di partire voglio dare un’occhiata al cielo. Mezzo addormentato sollevo l’oblò: una zaffata di aria fresca e un meraviglioso cielo stellato mi accolgono. E’ proprio quello che aspettavo. Chiudo veloce l’oblò, salto giù dal letto e, dopo una bella colazione, sono sul sentiero ancora avvolto dall’oscurità della notte. Forse è troppo presto, ma non fa niente, proverò qualche scatto notturno. 
Quando arrivo in effetti è ancora buio e ne approfitto per qualche foto al cielo stellato dall’ingresso di una grotta.  Non appena inizia a schiarire mi sposto, anzi mi arrampico verso una bella cavità, liscia e regolare, che avevo notato la volta precedente e dalla quale spero di tirare fuori qualcosa di buono. E’ più in alto, incassata su una  parete rocciosa piuttosto levigata. Vado su lento, cerco di non sbilanciarmi per il peso dello zaino ed evito accuratamente le insidiose parti bagnate e scivolose, che per fortuna si distinguono perché più scure di quelle asciutte. 

Il tempo è perfetto, al di là delle aspettative. L'aria è tersa e sulla valle aleggia uno spesso strato di nebbia che rappresenta una vera e propria ciliegina sulla torta. 
Mi sento fortunato, faccio molti scatti muovendomi nello spazio angusto della cavità, è difficile anche riuscire a sistemare bene il treppiede, ma cerco di approfittare della buona sorte e i risultati che appaiono nel monitor sembrano subito buoni.