Quando
il mio amico Bruno Boz, biologo e fotografo naturalista di Feltre, mi
aveva parlato delle “sue” Dolomiti (delle Vette Feltrine e del
gruppo del Cimonega... dei Piani Eterni e dei Monti del Sole: in due
parole, del Parco Nazionale delle Dolomiti Bellunesi) e di quanto
queste fossero selvagge e sconosciute, mi aveva profondamente
colpito, accendendo in me una grande curiosità e la voglia di
andarle a visitare.
Bruno mi aveva raccontato infatti di pareti giganti e dislivelli pazzeschi,
foreste di larici secolari e gole molto profonde dove scorrevano
fiumi meravigliosi, dalle acque pulitissime. Montagne ricche di fauna
e di specie endemiche o rare altrove, eppure poco frequentate dal
turismo di massa, che invece ha colonizzato gran parte delle arcinote
Dolomiti
considerate D.O.C. della parte settentrionale della Provincia di
Belluno. Era deciso: avrei visitato il Parco Nazionale delle Dolomiti
Bellunesi nel 2015 con L’Altro Versante!
E
così, prima che arrivasse la scorsa primavera, con Bruno abbiamo
pianificato una prima breve missione, quasi una ricognizione, da
effettuarsi nei primi giorni di Giugno. Sapevamo già che una non
sarebbe stata sufficiente. Abbiamo scelto di iniziare dalla zona dei
Piani Eterni e poi di fare una visita (aggiungerei “doverosa”)
alle valli dei fiumi Mis e Ardo.
I
Piani Eterni, altopiano dal nome piuttosto “importante”, si
sviluppano a a circa 1700 metri di quota. Si tratta di una vasta
conca di origine carsica circondata da alte montagne. Un mare di erba
color smeraldo e fischi di marmotte delimitato da un piano sollevato
con affioramenti calcarei e “campi carreggiati” a sud (qui ci
sono tantissime cavità e grotte: gli speleologi sono già scesi
oltre 1000 metri sottoterra!) e ripide montagne di strano calcare
rossastro a nord. Larici e abeti a sud, aquile e camosci a nord. In
mezzo due malghe, Erera e Brendol, e una bellissima stalla del
Settecento restaurata di recente.
Tutto stupendo, sì, ma prima di arrivare ad ammirare i Piani Eterni, uno deve ben faticare gli oltre mille metri di dislivello che attendono l'escursionista che parte dalla Val Canzoi. Niente di difficile, capiamoci, si tratta solo una lunga e tortuosa strada, a tratti asfaltata, che si inerpica (un po' noiosamente devo aggiungere) su uno dei pendii della valle del limpido torrente Caorame e sopra il lago artificiale della Stua.
Tutto stupendo, sì, ma prima di arrivare ad ammirare i Piani Eterni, uno deve ben faticare gli oltre mille metri di dislivello che attendono l'escursionista che parte dalla Val Canzoi. Niente di difficile, capiamoci, si tratta solo una lunga e tortuosa strada, a tratti asfaltata, che si inerpica (un po' noiosamente devo aggiungere) su uno dei pendii della valle del limpido torrente Caorame e sopra il lago artificiale della Stua.
Io e
(l'altro) Bruno eravamo pronti ad affrontarla a ogni costo, ma, per
fortuna, grazie alla generosa collaborazione del Parco Nazionale e
del Corpo Forestale, oltre all'ospitalità in quota è stato anche
offerto un passaggio in auto, non a noi... ma ai nostri zaini
pesantissimi. Il mattino che siamo partiti, ho quindi fatto
conoscenza con Enrico Vettorazzo del Parco Nazionale e con due
simpaticissimi forestali, il comandante Dalla Rosa e la guardia
Fritz. Last but
not least, ad
accompagnarci c'era anche l'amico Giacomo De Donà, giovane guida del
Parco nonché fotografo dotatissimo e con “il cuore al posto
giusto”. Così siamo partiti, zaini, bottiglie di vino e pacchi di
pasta in fuoristrada con i forestali. Noi quattro invece a piedi,
consapevoli della fatica che ci attendeva, ma anche felici di
camminare, una
tantum, senza
alcun peso sulle spalle.
Anche
se la salita è stata lunga, nonostante le piacevoli conversazioni e
gli incontri con tante specie, ve la faccio comunque breve. Quasi
alla fine, staccandoci dalla strada e prendendo il sentiero del
Porzil, ci siamo presto trovati nel bosco, odore di muschi e occhi
attenti a francolini e galli cedroni... Nessun animale si è rivelato
al nostro sguardo, ma l'attenzione è stata premiata da una rarità,
la Cortusa di Mattioli, una bella primulacea scovata da Enrico.
Ancora qualche centinaio di metri e siamo tornati a vedere la luce.
Tanta. Un mare di luce! Quello è stato il primo impatto con i Piani
Eterni: la luce che in montagne e valli così ripide e profonde è
rarità riempie questa terrazza naturale che sa tanto di piccolo
Paradiso.
La
malga Brendol, gestita dai Forestali, è semplicemente stupenda, la
base ideale per esplorare nei giorni successivi i dintorni dei Piani
Eterni. La giornata è ancora lunga e così, una volta cambiate le
magliette, decidiamo di proseguire poco oltre e andare a vedere se in
uno stagno a breve distanza ci sia qualche anfibio interessante.
Veniamo ripagati da una coppia di rospi smeraldini in accoppiamento,
che, a questa altitudine, fa notizia. Anche se una missione per AV si
concentra al 90% sui paesaggi, io, da biologo, non riesco a contenere
la mia curiosità e continue domande sulle tante specie animali che
sembrano frequentare la zona. Quando rientriamo alla malga, gli amici
forestali ci accolgono con un piatto di pasta fumante e un buon
rosso: il Paradiso, davvero. Dopo pranzo il cielo minaccia pioggia e
si sentono i primi tuoni. Non c'è altro da fare, se non sdraiarsi un
attimo in branda e recuperare un po' di forze, ascoltando assai
piacevolmente il temporale che infuria fuori dalla finestra.
Dopo
un paio d'ore, la pioggia ha smesso, ma l'aria è rimasta molto
carica di umidità e il cielo pieno di foschia. Non sarà il tramonto
che attendevo, meglio quindi ripiegare su dettagli e sugli abitanti
dell'altopiano. Mi avvicino a una marmotta tra i ranuncoli,
strisciando malvolentieri nell'erba bagnata. Poi, con Bruno e
Giacomo, cerchiamo timidi marassi tra le rocce e i cespugli di mugo
fino al tramonto. Qualche scatto poco efficace al paesaggio (ci sarà
da rifarsi nei giorni successivi!) ed è già ora di cena. Tra un
boccone e l'altro, abbiamo ammirato un branco di cerve fuori dalla
finestra che scendevano a brucare nella piana insieme a una fitta
nebbiolina. All'ora blu, la magia si è compiuta. Seppure io non
riuscissi più a vederle, le cerve sono rimaste impressionate sul
sensore della mia reflex insieme all'azzurro intenso della luce che
svaniva. Ero soddisfatto di quanto mostrava il display della mia
macchina: ancora una volta avevo potuto assistere a quell'attimo
fugace di eternità che rende questo nostro lavoro così
affascinante.
Grazie Bruno per aver accettato l'invito nelle "altre" Dolomiti, per l'ottima descrizione e al solito (anzi un po' di più) per le splendide foto.
RispondiEliminaVisitare le "mie" montagne al tuo fianco con gli occhi da missione di "L'Altro Versante" è stata un'esperienza nuova anche per me, sempre troppo concentrato sulla fauna e magari a volte poco attento a cogliere gli attimi di "luce blu" tra uno sbadiglio e l'irresistibile richiamo del caffè fumante nella moka.
Anche se la parola missione racchiude il senso di qualcosa che comincia e finisce, la speranza è invece quella di averti qui anche in tante altre occasioni, con altri colori, altre luci, altri incontri...ma magari la bottiglia dello stesso vino!
Bruno Boz
Piacevole ed interessante servizio sulle Dolomiti Bellunesi.
RispondiEliminaComplimenti.